Carlo Tagliabue, un amico ci ha lasciato

Cattolico illuminato, Presidente del Centro studi Cinematografici, docente universitario a Perugia, regista televisivo per la Rai, si è spento all’improvviso lunedì a 68 anni

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Non si vorrebbe mai scrivere su una persona, un amico, che si conosce da più di 20 anni. Ed è difficile farlo anche ora. Perché Carlo Tagliabue è stata una presenza fissa da quando ho iniziato a scrivere di cinema. Negli ultimi tempi ci eravamo visti un po’ di meno, ma ci sentivamo o ci scrivevamo. Come per l’appuntamento fisso di ogni anno, il volume “Saranno famosi” dedicato alle opere prime del cinema italiano dove facevo una panoramica generale. Al Festival di Venezia mi preparava: “Ao’, hai visto quanti sono gli esordi quest’anno? Sono aumentati rispetto all’anno scorso”. Siccome ero spesso in ritardo nella consegna del pezzo, mi sollecitava gentilmente. Prima mi mandava una mail, poi mi faceva telefonare da Cesare Frioni, il suo fraterno amico e collaboratore da chissà quanti anni, che dopo il saluto mi diceva: “Ti passo il Presidente”.

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Carlo aveva 68 anni ed è morto all’improvviso a Roma, lunedì scorso. Cattolico illuminato, Presidente del Centro Studi Cinematografici – dove vengono pubblicate le riviste Film e Il ragazzo selvaggio – docente universitario a Perugia, regista televisivo per la Rai, aveva una grande cultura – non solo cinematografica – conosceva Arezzo meglio di me ogni volta che mi chiedeva come andava dopo che mi ero trasferito 10 anni fa – citava poeti (soprattutto Belli e Trilussa) e aveva quell’aria bonaria e la sua immancabile pipa nel suo immancabile posto nella sede, a Roma, di via Gregorio VII 6.

Mai sopra le righe, molto discreto, ma sempre con la battuta pronta, non sparava mai a zero sui film né faceva trasparire il suo entusiasmo. Ma il suo giudizio era sempre chiaro e riconoscibile. Come quando l’ho conosciuto, nel settembre del 1994; mi parlava di Forrest Gump di Zemeckis ed esprimeva perplessità sulla presenza della piuma.

Con Carlo non si parlava solo di cinema ma anche di politica e, talvolta, di calcio. Seguiva Sentieri Selvaggi e mi chiedeva informazioni soprattutto su come erano cambiati i nostri lettori dopo il passaggio dalla carta al web ed è stato tra i nostri sostenitori quando ci aveva fatto premiare ad Assisi a Primo piano sull’autore nel 2004.

Nella continua dispersione tra le persone che si conoscono e quelle che si perdono di vista, Carlo sembrava una colonna sicura. Fino a qualche anno fa c’erano anche dei riti; gli auguri alla vigilia di Natale nella sede del Centro Studi Cinematografici, si stappava poi uno spumante e si apriva un panettone. Poi si usciva insieme. Un caffé al bar difronte, poi lui proseguiva verso casa mentre io slegavo il motorino.

I suoi consigli erano sempre chiari. Affettuosamente mi diceva: “Fatte capi’ quando scrivi”. Ed era sempre pronto a darmi dei suggerimenti anche per le prime rassegne che stavamo organizzando ad Arezzo.

Ancora non ci posso credere di non poterlo vedere a Venezia. Con i commenti a caldo fuori la sala Darsena e poi diceva: “caffè?”. Chissà quanti ne abbiamo bevuti insieme.

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