CARTOLINE ELETTORALI DAGLI USA / 6. WASHINGTON – Fake plastic love

La minaccia di Donald Trump è sempre più concreta ma la grande indifferenza dei nuovi immigrati verso Washington racconta una nazione che attrae ancora economicamente ma non più idealmente

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La tomba di Woodrow Wilson è all’interno della National Washington Cathedral, un’immensa chiesa neogotica che domina le gradevoli villette e i viali alberati di Georgetown. La storia politica del presidente democratico uscito da Princeton è una delle prime incomprensioni che colpiscono chi si avvicina alla storia americana. Il suo secondo mandato venne caratterizzato dall’ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale e dalla conseguente vittoria sulla Germania e sull’Austria-Ungheria. La gestione della pace e gli incontri per i trattati di Versailles permisero a Woodrow Wilson di presentare alla diplomazia internazionale la sua ambiziosa idea della Società delle Nazioni. L’organismo sovranazionale non soltanto doveva preservare gli accordi che erano stati sanciti nella conferenza post-bellica ma anche valutare e redimere le questioni tra le nazioni su una base etnica. I suoi quattordici punti anticipavano la costituzione dell’ONU di circa trenta anni e accennavano al principio inaudito dell’autodeterminazione dei popoli. Woodrow Wilson era arrivato a questa conclusione molto prima di farsi convincere dai venti milioni di soldati morti della Seconda Guerra Mondiale. La Società delle Nazioni venne creata senza gli Stati Uniti visto che lo smacco maggiore al suo progetto non arrivò dalle potenze europee ma dalla bocciatura del Congresso. La nobile proposta del presidente venne respinta sonoramente e i postumi di un ictus resero uno strazio gli ultimi momenti della sua amministrazione.

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Il caso di Woodrow Wilson è emblematico di come esista una versione platonica del paese che corrisponde raramente alla realtà della sua natura. Gli americani non pensano sempre quello che i costituenti avevano pianificato per loro e a volte smentiscono il profondo idealismo che ha costruito la loro nazione. Il presidente voleva che il mondo fosse plasmato ad immagine e somiglianza degli Stati Uniti ma i suoi cittadini gli fecero presente che non avevano nessun interesse verso il resto del mondo. La città di Washington è un perfetto esempio di questa scollatura tra quello che gli americani vorrebbero rappresentare e i loro limiti di adattabilità a questo impegno. La capitale è un gigantesco monumento in progress delle conquiste nazionali ma oltre il National Mall e gli edifici del governo federale c’è un’urbanizzazione senza personalità. I cittadini di Washington non sentono l’ombra imponente della cupola di Capitol Hill come la percepiscono i visitatori che hanno studiato la sua importanza retorica. Il lungo viale che parte dal meraviglioso complesso che ospita il Congresso e conduce fino al Lincoln Memorial offre un disegno complessivo delle glorie americane in cui anche i sassi hanno un significato. Un perimetro che si estende in lunghezza per tre miglia e in cui ogni dettaglio è studiato per storicizzare e stimolare la coscienza nazionale.

Ai lati di questa lunghissima prospettiva ci sono le sterminate collezioni dello Smithsonian che raccolgono il passato comune e i diversi monumenti ai caduti di tutte le guerre. La colossale statua di marmo di Abraham Lincoln domina i palazzi del potere come se il suo sguardo non smettesse mai di vigilare sull’onestà del loro operato. L’intento programmatico che sta dietro alla città di Washington è un patchwork di neoclassicismo tardivo e di linee contemporanee. La titanica impresa dei vari architetti e urbanisti che si sono alternati a terminare opere che a volte hanno richiesto più di un secolo di lavoro è servita a qualcosa? La cupola di Capitol Hill venne distrutta da un incendio appiccato dagli inglesi all’inizio dell’ottocento e gli americani decisero di rifarla più grande di prima. La costruzione non cessò nemmeno durante la guerra tra gli stati perché l’Unione pensava che un’interruzione avrebbe dato l’impressione che nessuno credesse più nella salvezza degli Stati Uniti. Gli americani la percepiscono davvero come un fuoco perpetuo che alimenta i valori della libertà e della democrazia?

La risposta dipende dalla prospettiva di chi ascolta la domanda, così come tutte le cose che

lincoln_washingtonriguardano questa nazione. Donald Trump ha attirato su di sé il vento del populismo ma molti dei suoi sostenitori rifiutano con violenza lo status quo proprio perché vedono che Capitol Hill è stata violentata dalla politica dei corrotti. Il rischio che questa devozione si tramuti una deriva autoritaria è minoritario rispetto alla rabbia verso chi ha svilito un simbolo adorato. Hillary Clinton è la portabandiera di chi venera lo splendido dome proprio perché è stata la sede del dialogo e di una storia fatta di sofisiticati capolavori legali e politici noti come compromessi. Le grandi riforme degli Stati Uniti portano questo nome a partire dal sistema di governo basato su un differente e complementare sistema di elezione della House e del Senato. La peggiore campagna elettorale dell’ultimo secolo ha svelato una popolazione che non si riconosce più nemmeno nei suoi simboli e nelle sue pratiche istituzionali. I due candidati riflettono fino al punto di non ritorno una condotta scorretta nei rapporti tra i poteri che i partiti portano avanti da decenni. Il presidente e il Congresso hanno smesso di sostenersi attraverso le loro differenze ma hanno iniziato ad ostacolarsi a vicenda per marcare le distanze dal nemico davanti al loro elettorato. Le leggi non vengono affrontate in maniera costruttiva ma vengono smontate al solo fine di essere boicottate per pregiudizio. Le due anime della nazione hanno chiaramente smesso di parlarsi e basta vedere un talk show per capire il motivo per cui i politici hanno perso gran parte della loro credibilità. Gli spin doctors si arrampicano sugli specchi per difendere le posizioni inequivocabilmente pietose dei due nominati. Ed è per questo che Donald Trump e Hillary Clinton verrano ricordati come i due candidati più odiati della storia delle rilevazioni demoscopiche.

La degenerazione del dibattito politico anche negli Stati Uniti porterà delle conseguenze difficili da prevedere e si aggraverà a prescindere da come finiranno le elezioni. I lavoratori che si aggirano per le strade intorno a Washington sono un primo metro di valutazione di questo chiaro decadimento della mancanza di esempi. L’umanità che non fa parte della classe impiegatizia ma la serve nei ristoranti e nei taxi non è minimamente attratta dal progetto educativo che la città dovrebbe rappresentare. Gli immigrati di nuova generazione non hanno nessuna fascinazione verso le statue e i memoriali che dovrebbero aiutare la loro integrazione. Il monumento di Washington è un obelisco di pietra davanti al quale passano senza sentire il suo magnetismo e senza avere più il vibrante desiderio di far parte di quella storia. Gli americani entrano dentro il bellissimo tempio circolare che ospita la statua di Thomas Jefferson e ognuno interpreta le sue parole come uno strumento per screditare l’opinione degli altri. Nessuno più insegna ai nuovi arrivati l’effetto assolutamente rivoluzionario del suo messaggio e la responsabilità che richiede ad ogni cittadino. Il grande pensatore dell’indipendenza non ha più nessun potere evocativo verso di loro e rischia di trasformarsi irrimediabilmente soltanto in un vuoto simulacro.

Io non sono un grande sostenitore dei cambiamenti nelle leggi e nelle costituzioni ma le leggi e le costituzioni devono andare per mano con lo sviluppo del pensiero umano. Se esso diventa più sfaccettato, più illuminato, se nuove scoperte vengono fatte, se nuove verità rivelate modificano le abitudini e le opinioni, allora con il cambio delle circostanze le istituzioni devono avanzare per tenere il passo con i tempi. Sarebbe come se un uomo indossasse ancora il cappotto che aveva da ragazzo se una società civilizzata restasse sotto il regime dei suoi barbari antenati.

(Thomas Jefferson, 1816)

 

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