Blog QUASI UN DIARIO – Catalunya, España e ritorno

Riportiamo un resoconto in prima persona dei giorni di Barcellona, pubblicato oggi da Angelo Orlando sul suo blog QUASI UN DIARIO. Come andrà a finire questa storia dell’indipendenza?

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riportiamo un resoconto in prima persona dei giorni di Barcellona, pubblicato oggi da Angelo Orlando sul suo blog QUASI UN DIARIO

 

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Mi avvio con la mia borsa verso la palestra.

Ho la mia roba in borsa.

Poche cose: asciugamano, scarpe da ginnastica, pantaloncini ricavati da una vecchia tuta grigia che mia madre ignara della moda che sarebbe arrivata dieci anni dopo, aveva tagliato perché c’erano dei buchi, costumino, caso mai mi venisse di fare un paio di vasche (ma alla fine lo so, mi rifugerò nel bagno turco a guardarmi la pancetta e a chiedermi: “ma è sicuro che funziona tutto questo pedalare su una bicicletta che non si muove o a remare sulla nave di un mare invisibile?”)

Una nave, proprio come quella dove alloggiano gli agenti della Polizia Nazionale mandati a Barcellona per non far svolgere questo referendum o perlomeno, per cercare di destabilizzarlo il più possibile. Su questa nave c’era Titti e il Gatto Silvestro, i personaggi dei cartoni animati Disney (qui li chiamano il Pato Lucas e Piolìin).

Ma dai… è tutto così comico. Sembra un film di Ken Loach.

A un certo punto, ci sarà qualcuno che griderà: “STOP!”

Durante il breve tragitto dallo studio alla palestra, il pensiero è sempre lo stesso: “Mo’ mi vado a fare un caffè e a leggere qualche notizia al tavolino di un bar all’aperto”. Poi invece arrivano i sensi di colpa e alla fine, entro, mi cambio e comincio il solito giro che mi porta dalle panche alle docce.

Oggi, tre ottobre del 2017, arrivo di fronte alla porta della palestra municipale della Estación del Norte. Sono le 11:00 e il problema è risolto: la palestra è chiusa.

Mi guardo intorno e capisco subito: sciopero.

Gli elicotteri da diverse settimane sono una costante dei rumori di fondo a Barcellona. Sciopero generale. Già. Me ne torno verso lo studio dove troverò Efi che mi aveva avvisato: “Vas a ver que estará cerrado también. Hay huelga genera!”

Attraversando i giardini dell’Arc de Triomf, c’è un piccolo corteo, uno dei tanti che si possono vedere a Barcellona in questi giorni. Accadono tante cose strane qui in questo periodo. Cose a cui poco alla volta, ci si abitua.

Ve ne riporto una che sicuramente in Italia non sapete. Ve la riporto con uno sguardo neutrale che però, poco alla volta, sta acquistando una prospettiva sempre più stupefatta. L’abitudine passa sempre dallo stupore che è come un muscolo e va sempre allenato.

La verità è che bisognerebbe sempre allenarsi alla meraviglia.

Ogni notte, alle ore 22:00, in tutta questa città ricoperta di bandiere, comincia a sentirsi un rumore di pentole sbattute, di bicchieri e piatti battuti con posate. Dovendo descrivere in una sceneggiatura questo frastuono, si potrebbe scriverlo in maiuscolo: RUMORE DI STOVIGLIE SBATTUTE.

Da tutte le case, dai balconi, dai tavolini dei ristoranti, dai locali, i gruppetti di giovani per strada, gli anziani affacciati alle finestre, quelli che erano usciti per andare al cinema, quelli che si vedono per farsi una birretta o un vermuth, tutti partecipano a questo casino che si unisce ai cori improvvisi che mentre prima del primo ottobre incitavano al diritto di votare, ora invece sono cori di protesta, voglia di esprimere e di sentirsi liberi in una società democratica.

Il nostro studio di produzione è nel cuore del Born. Siamo a livello strada e intorno a

catalogna_referendumnoi, tutti sono chiusi: serrande abbassate. Si dovrebbero fare diverse cose. Che facciamo? Aderiamo alla sciopero? Però… c’è da caricare su Vimeo 25 minuti di “Serás Hombre”, mandare le iscrizioni ai festival, risolvere cose coi nostri co-produttori irlandesi e io poi sto scrivendo per il progetto da presentare a novembre a Media Europa, insomma ci sono davvero troppe cose da fare.

Non lo so. Che farebbe Kieślowski?

Probabilmente unirebbe le mani e guarderebbe il mondo da quel rettangolo lì.

Gli elicotteri non danno tregua.

Sembra di stare in guerra.

Ieri ho visto un po’ di video, di telegiornali, letto notizie dei giornali italiani, paragonandoli a quelli dei giornali spagnoli.

Poi uno sguardo a TV3 la televisione di Catalunya, difficile farsi un’idea precisa di quello che sta succedendo qui.

Quello che sicuramente so, è quello che sto provando io che sempre sono stato neutrale, neanche tanto dubbioso.

Spagna o Catalunya per me era qualcosa molto simile al folclore, qualcosa a cui ci si fa l’abitudine. Dopo quasi dieci anni in questa città, a parte qualche giretto folcloristico nel giorno della Diada, gli indipendentisti catalani li avevo sempre visti con curiosità e un pizzico di tenerezza, con i loro berretti rossi e le bandiere della senyera, avvolte attorno al collo.

Oggi invece sento qualcosa di strano.

Questo aver impedito a una popolazione di voler esprimere il voto, mi ha fatto pensare immediatamente all’autorità, a quello che è il primo rapporto autoritario che avvisiamo nella nostra vita: il rapporto genitore figlio.

Possibile che ai vertici di una nazione non ci siano persone che mastichino i principi basilari della psicologia? Impedisci a tuo figlio di andare dove vuole andare e sicuramente ci andrà.

E allora? Come andrà a finire questa storia dell’indipendenza? Cosa sta succedendo?

Quando mi fu imposto di studiare, presi la mia roba e me ne andai di casa. Poi, senza neanche saperlo, mi misi a studiare da solo e devo dire che, oggi, i miei avevano ragione: sono un eterno studente e il mio desiderio di studiare e di apprendere è sempre vivo dentro di me. Avevano ragione loro, i miei genitori, ma non lo sapevo. Dovevo andar via per comprenderlo.

Chi può dire cosa ne sarà di questo strappo alla Spagna?

Chi lo sa.

Io so solo che tra qualche ora, saranno le 22:00.

Preparo due pentole e qualche cucchiaio.

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