Catarina e a beleza de matar fascistas, di Tiago Rodrigues

L’imponente spettacolo teatrale di Tiago Rodrigues è una messa in scena oggi più che mai fondamentale per capire i tormenti ideologici di un’intera epoca. Ecco le parole del regista

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Come sempre accade per le grandi opere, che siano esse letterarie, pittoriche, filmiche o, come in questo caso, teatrali, seppur incasellate in uno specifico momento storico per ragioni cronologiche, queste parlano trasversalmente di oggi, di ieri e di domani. E Catarina e a beleza de matar fascistas è una grande opera. Unisce infatti storia, politica, legami familiari e dilemmi esistenziali in un percorso interiore di 2 ore e 30 (forse con qualche lungaggine). Come ha spiegato lo stesso Tiago Rodrigues, regista e ideatore dello spettacolo, nell’incontro pomeridiano a lui dedicato martedì 12 aprile al Teatro Argentina di Roma, “quello che mi interessa nel teatro è proprio il matrimonio fra ciò che è pubblico e ciò che è privato, personale”. Rodrigues spiega come sia infatti partito dal dibattito sul populismo di estrema destra per arrivare ad una drammaturgia che fosse una sorta di lama che potesse nello stesso tempo parlare di politica ed essere molto intima. Il lavoro del regista di Lisbona è infatti completamente dedicato a questa scissione interna fra il dovere civile e le sensazioni personali, perché la protagonista, Catarina (nome che possiedono tutti i personaggi dell’opera, per tradizione), avendo compiuto 26 anni si trova davanti a quella che da più di 70 anni è la prassi della sua famiglia di Baleizão: deve uccidere il fascista che ha rapito. Non se la sente, tentenna. Prova a far capire alla sua famiglia che un’altra strada è possibile, apre un dibattito, apre una ferita. Va contro la tradizione, rompe lo schema, le certezze.

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Tradizione, violenza, ideologia. Catarina e a beleza de matar fascistas instilla un dubbio fondamentale nello spettatore: è giusto uccidere per evitare che il mondo peggiori e che idee sbagliate prendano il sopravvento? Può la violenza prevenire altra violenza? Uccidere un fascista è sempre stato il modo con cui la famiglia di Catarina ha cercato di compiere il proprio scopo sulla terra, fidandosi ciecamente delle parole che una loro ava ha lasciato loro come testamento dopo aver ucciso suo marito, fascista durante la dittatura portoghese degli anni ’50. Lo spettatore è parte integrante del dibattito e ad un certo punto dello spettacolo la tensione in sala diventa palpabile e udibile. Attraverso una scenografia curata ed elegante e una attenta cura del dettaglio, la rappresentazione teatrale di questa famiglia permette un totale coinvolgimento emotivo e mentale, riuscendo in quello che dovrebbe essere lo scopo primo di questa arte.

Beatriz Maia è a capo di una convincentissima squadra di attori, che, come ha spiegato Rodrigues stesso, sono stati fondamentali per la nascita dello spettacolo. Il regista percepisce la relazione con i personaggi della sua messa in scena in modo molto particolare: “Vedo il rapporto con gli attori come un romanzo epistolare, come una corrispondenza amorosa: io scrivo la mattina una lettera d’amore per gli attori, la sera loro fanno le prove e il modo in cui recitano è la lettera di risposta. E il giorno dopo io rispondo di nuovo e poi il pubblico arriva e vede lo spettacolo”.

Lo spettacolo è stato in cartellone al Teatro Argentina. A seguire sarà presente il 28 e il 29 aprile al Teatro Storchi di Modena. Lo spettacolo in questi giorni ha fatto indignare un esponente della destra italiana, Federico Mollicone, deputato Fdi e componente della Commissione Cultura che ha ritenuto Catarina e a beleza de matar fascistas un’opera “inopportuna”, poiché inopportuno è il fatto che essa “lanci il tema se sia giusto o no uccidere un essere umano in base alle sue convinzioni ideologiche, tanto più con una clima di guerra che ritorna in Europa.” Non è mancata la risposta di Giorgio Barberio Corsetti, consulente artistico del Teatro di Roma, il quale ha spiegato come lo spettacolo teatrale in realtà “apra un dibattito sul rifiuto della violenza, di quella fisica come di quella verbale”.

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