Catene, di Raffaello Matarazzo

Uno dei più famosi melodrammi del cinema italiano prodotto dalla Titanus interpretato dall’accoppiata Nazzari-Sanson che verranno poi diretti da Matarazzo in altri sei film. Domani, 9.30, Rai Storia

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Il film di Raffaello Matarazzo ruota attorno a tre concetti che sembrano ricomporre il sostrato del film, ma anche di quel cinema tutto popolare, postbellico, di cui il regista romano è stato un esponente di rilievo.

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I tre concetti sono: romanzo d’appendice, melodramma e catene, la parola che identifica il titolo e non casualmente. L’idea di catena richiama alla mente un legame indissolubile, un giogo dal quale è difficile liberarsi, che diventa un peso sulla coscienza, un segreto da non svelare o una condizione dalla quale liberarsi. Le catene della colpa, il film di Jacques Tourneur, riassume bene nel titolo questa condizione di solitaria sofferenza. Il film di Matarazzo fonda proprio su questo riscatto dal passato e sul costo da pagare in termini di contropartita sociale, la sua energia narrativa. Una carica restituita con intensità – sebbene con una recitazione necessariamente accentuata nei toni drammatici – dalla sensualità matura di Yvonne Sanson, diva popolare dell’epoca dotata di una bellezza “casalinga”. Proprio grazie a questa particolare espressione di femminilità accesa, ma anche sottilmente dimessa, sapeva accattivarsi le simpatie femminili, difficili da ottenere nella atavica e sommessa rivalità che da sempre e a qualsiasi latitudine caratterizza i giudizi femminili rispetto alle attrici. Senza alcuna volontà di essere politicamente corretto, ma per onestà intellettuale, va aggiunto che, ovviamente, analoga situazione si manifesta in ambito maschile.

È il legame indissolubile con il passato a stringere le catene che legano Rosa, la protagonista, al suo vecchio amore Emilio, divenuto, forse a causa della delusione d’amore patita, un malvivente. Rosa oggi ha una famiglia e Guglielmo, il marito, Amedeo Nazzari, è un onesto brav’uomo che fa il meccanico e i due figli le riempiono la vita. Per un caso Rosa incontrerà di nuovo Emilio e, nonostante la passione che prova ancora per lui, non tradirà Guglielmo. Ma tutto fa credere che invece sia avvenuto il contrario. Rosa pagherà lo scotto di una colpa non commessa, ma il riscatto spezzerà le catene che la legavano al passato.

Siamo nel cuore pulsante e vivo del melodramma e questo è il secondo concetto che concorre a rendere la quotidiana materialità del film dentro la quale vive una sua intima verità. Il film è del 1949 e tutto va contestualizzato, ma proprio in virtù di questa operazione di attualizzazione è innegabile che Catene porti con sé anche una celata trasgressione, un incipit non peregrino di un sentire dubbiosamente diverso che preannunciava, timidamente, un mutamento. Il personaggio di Rosa, protagonista assoluta della storia, fa intravedere una alternativa rispetto al corrente pensiero quanto alla figura femminile nel cinema di consumo di quegli anni, così come Catene voleva essere e come Matarazzo voleva che fosse.

Non è poco, in quel 1949, quando la guerra era ancora un ricordo vivido nella mente degli italiani, la scolarizzazione era minima, soprattutto nelle aree più sottosviluppate e legate ad una tradizione contadina. Il melodramma Catene, a suo modo, ci offre la lettura di un personaggio femminile sicuramente tradizionale, ma nel quale si intravedono i primitivi segnali di una differente verità, di un diverso modo di concepire il ruolo femminile pur all’interno delle dinamiche patriarcali che governavano le regole familiari. Guglielmo non entra troppo nella vita della moglie. Rosa, in fondo, è una donna libera, entra ed esce di casa secondo le sue esigenze e non deve spiegazioni. Quelle arrivano solo quando il sospetto si insinua nel figlio Tonino, che, del tutto casualmente, aveva scoperto la “tresca” tra la madre ed Emilio, conservandone il segreto per salvare la pace familiare. Se il personaggio di Rosa si dovesse confrontare con altri personaggi femminili dell’epoca probabilmente queste differenti tonalità caratteriali sarebbero evidenti (pensiamo alla Maria di Quattro passi tra le nuvole o all’altra Maria protagonista di La peccatrice). Quindi sicuramente siamo nell’ambito di un melodramma nel cui registro narrativo vivono le forti e intense passioni d’amore nel contesto di Napoli, città che per antonomasia insieme alla Sicilia, vive sui sentimenti forti, ma Rosa dimostra una passione non trasgressiva e il suo legame vero è con Guglielmo. Emilio è del tutto evidente che rappresenti      quell‘infelicità che a volte affascina poiché ammantata dai ricordi, a volte corrotti dal tempo, e dal desiderio di rivivere un nuovo desiderio, trascurando di vivere il presente. Matarazzo, insomma, non trasgredisce le regole di un bon ton familiare in voga, e sicuramente firma un melodramma all’apparenza restauratore, ma ha il merito di porre il tema femminile, il tema della donna vittima di una considerazione sociale pronta alla condanna, istigata dai pregiudizi, per ogni ipotetica deviazione dalle regole consuete. Rosa è anche e soprattutto un personaggio femminile che come altri è portatore di segreti profondi e non rivelabili, custode di una storia sconosciuta e quindi ancora vittima di questo ruolo che non è più sociale, ma genetico. Il personaggio di Rosa sa diventare sotto questo profilo perfino moderno, rivendicando indirettamente, una propria verità sconosciuta, ma necessariamente taciuta per il bene familiare. Una verità che diventa moneta falsa, quella che la società dell’epoca ipocritamente chiedeva e con la quale lei può salvare il marito e ricomporre la pace familiare. Nell’inatteso epilogo il film diventa esplicita la critica sociale, la critica ad una ipocrisia con la quale la falsità diventa lasciapassare giudiziario per ricomporre la lesione delle regole. Finale coraggioso, nulla da dire. Nonostante il suo passato da regista artigianale, Raffaello Matarazzo e i suoi sceneggiatori Aldo De Benedetti e Nicola Manzari, tirano fuori un colpo di coda inatteso e spiazzante.

Catene, con la sua narratività preponderante, traboccante di eventi e piccoli colpi di scena, mette al centro proprio il racconto, il succedersi dei fatti, dando per scontati i sentimenti che animano i comportamenti dei personaggi. Oggi un soggetto del genere avrebbe potuto diventare, con gli ammodernamenti necessari, una serie TV (The Affair, ad esempio, non è troppo lontana dall’aria che tira in questo film). Il melodramma e le catene da spezzare che trascinano la protagonista verso il passato oscuro e “peccaminoso”, diventano gli ingredienti necessari per dare vita a quel romanzo d’appendice che da Balzac in poi ha appassionato milioni di lettori nel mondo. Il cinema di Matarazzo, non a caso venne anche definito come neorealismo d’appendice. Una definizione che fino a qualche anno fa faceva storcere il naso a molti e che oggi – forse anche alla luce di una critica più disponibile, meno ideologica e perfino più attenta alla vivente socialità, piuttosto che ad una socialità intellettualistica, ma poco vissuta – è stata rivalutata come forma espressiva nella quale si riconosceva e si riconosce una parte considerevole della società e che, in varie forme, modi, sottaciute trasversali insidie, tese a dare voce ad un comune sentire, ha contribuito a mutare lo sguardo sulle cose e sui rapporti anche d’amore. Da Liala a Carolina Invernizio questi passaggi hanno segnato i tempi di una letteratura sulla quale si sono formate intere generazioni. Poi se vogliamo dirla tutta, il romanzo d’appendice è stato sinonimo di diffusione della letteratura storicamente riconosciuta come imprescindibile, come dicevamo da Balzac a Flaubert, da Collodi a Dickens e Stevenson, da Dostoevskij a Tolstoj, per arrivare al misterioso Finnegan’s Wake joyciano, pubblicato per brani su Transition durante la sua prima stesura. Con questi antenati perché non riconoscere un piccolo posto d’onore nel cinema anche a Catene che apre le prime righe del lungo racconto di una difficile emancipazione femminile che resta ancora un racconto incompiuto?

 

Regia: Raffaello Matarazzo
Interpreti: Yvonne Sanson, Amedeo Nazzari, Aldo Nicodemi, Teresa Franchini, Roberto Murolo
Durata: 94’
Origine: Italia, 1949
Genere: Melodramma

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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