CATTIVE LETTURE – Dave Eggers e le creature selvagge

Dave & Toph Eggers con Spike Jonze
Quelle che canta Eggers sono le misteriose capacità di reagire, una questione, in fondo, biologica, e intessuta di giovinezza, perchè viene indubitabilmente meno, con gli anni. Possiamo chiamarla resilienza. Come in edilizia, è qualcosa che ha che fare con la l'elasticità della materia in grado di ricostituirsi e riacquistare una forma dopo un urto violento

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Più elastico, bambinoWhere the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze on set

Tutto cominciò da A Heartbreaking Work of Staggering Genius (2001) L'opera struggente di un formidabile genio, e forse, tutto comincia sempre dalla fratellanza – che si tratti di Toph, il fratello minore, oppure di Wallace, Lethem, Moody, fratelli acquisiti che dalle pagine scoppiettanti di McSweeney's e The Believer accompagnavano Dave Eggers nella sua esplosione di giochi serissimi. Ovvero, amplificare una giovane potentissima voce letteraria americana, non solo sua, ma collettiva, che si era già levata, e rivelarla al resto del mondo: figlia di Barthelme e Barth, ma una figlia capricciosa, forte, con una sua personalità.

 

Un genio, lui, probabilmente no – Wallace sì – ma un geniale costruttore di mondi, un disegnatore di puzzle sospesi a metà tra l'incanto e l'orrore infantile che ci modellano negli anni, proprio come a suo modo è Michel Gondry, al quale il mezzo visivo consente di essere forse più diretto, artigianale – anche se, sull'eccezione più diffusa riguardo alla scrittura di Eggers, la prolissità, bisogna chiarire che lo scrittore non ha mai tentato di voler essere Carver, e che la sua logorrea ha ragione d'essere nella maggior parte dei suoi libri. In ogni modo, dopo aver letto Eternal Sunshine of the Spotless Mind - Michel Gondry

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L'opera struggente, le scene di Eternal sunshine of the spotless mind in cui Joel attraversa le aree della sua memoria di bambino, sono improvvisamente più chiare, effettivamemte struggenti, si rivestono di altra luce, e lo scenario che ne viene fuori assomiglia in qualche modo al mondo in cui si muove Max nel paese delle creature selvagge. Berretti, paraorecchie, neve e tavoli da cucina con la cena strappano una lacrima senza alcun bisogno di chiamare in causa il rimpianto: non è un'età dell'oro che si celebra ma una disperata reattività – una vitalità impazzita, a volte autistica a volte schizofrenica, aggressiva, triste, dolce perfino insopportabile. Un po' come nei looney tones, si cade da altezze impensabili, si assume una forma schiacciata, e BOING! si torna sorprendentemente in piedi. Sotto lo sguardo costernato o genuinamente terrorizzato della “gente adulta”.

Max corre con l'affanno e l'imprudenza che ancora non si è autodefinita tale,Where the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze una sorta di pulizia morale mezza matta, una fame rabbiosa che potrebbe appartenere a un bambino e che viene magnificamente raccontata dal cane parlante che corre nel racconto finale di La fame che abbiamo. In qualche modo, il film di Jonze devia leggermente dalla storia di Sendak parlandoci di quei momenti esatti e cristallini della vita in cui corriamo con perfetta incoscienza – e non appartengono solo all'infanzia – un po' come il ragazzino lanciato in ripida discesa che Bill, adulto, stempiato, incontra alla fine di uno dei più autentici e sottovalutati romanzi di formazione della storia: It di Stephen King. Lui conosce il segreto dei surfisti riguardo a una forza che non si può controllare. Non si può stare attenti su uno skateboard. Bè, tutta la vita, tutta intera, è uno skateboard.

Quelle che canta Eggers – anche in You Shall Know Our Velocity (2002) in alcuni racconti di How we are hungry (2004) e in What Is the What (2006) – sono le misteriose capacità di reagire, una questione, in fondo, biologica, e intessuta di giovinezza, perchè viene indubitabilmente meno, con gli anni. Possiamo chiamarla resilienza. Come in edilizia, è qualcosa che ha che fare con la l'elasticità della materia in grado di ricostituirsi e riacquistare una forma dopo un urto violento.

Dave Eggers - L'opera struggente di un formidabile genio L'opera struggente è  riuscito a far parlare di sé al di là del fastidioso “tratto da una storia vera”, del doppio cancro che divora madre e padre, beffardamente, insieme, a cinque settimane di distanza. Peggio di un incidente aereo, ma meglio che in un romanzo di Dickens, direbbe Eggers. Una tipica famiglia americana e una reazione meno tipica al disastro: Dave ventenne si ribella al futuro certo che aspetta suo fratello Cristopher, 8 anni. Con ogni probabilità un futuro fatto di indulgenza, commiserazione, diffidenza da parte di agenti immobiliari, surreali domande di assistenti sociali, proposte terapeutiche, “gente adulta”, semplicemente. Quella che non rabbrividirebbe di fronte alla scelta di deliziare gli ospiti di un funerale con della musica new age di bassa fattura, e che aspetta la morte nei sobborghi dall'aspetto innocuo, tra costipazione, un cane di nome skipper e una piccola piscina. Il tono del suo romanzo e probabilmente il suo più grande pregio, al di là dell'indiscusso talento stilistico di Eggers, è la singolare capacità di mettere alla berlina dolcemente, e non senza rabbia, l'atteggiamento comune di fronte a dei superstiti, quali sono gli orfani, senza sminuire la catastrofe. Certamente, senza “ironia”, come lo stesso Eggers chiarisce, almeno nel senso in cui questo termine viene usato e abusato, perlopiù a sproposito. Di giocare a carte ormai scoperte con le categorie (fiction? non fiction?) fino a scompaginare completamente il tavolo da gioco. Vengono così raccontati una serie di giochi che devono scandalizzare opportunamente il vicinato (Dave finge di picchiare il fratello che ulula, Dave e Toph interpretano il classico del padre e del preadolescente che litigano “Ti odio! Ti odio! Ti odio!” – una serie di sit -com difensive verso la pietà ottusa e la distanza). Forse la migliore reazione alla perdita è una sit-com… Un esempio fulgido, la festa scolastica di Toph e l'incontro con le madri e le loro innocenti e benevole domande. Di fronte al costernato “mi dispiace” di turno, la risposta migliore sarebbe: “non si preoccupi. Non è stata colpa sua. Oppure sì?” Un altro, esemplare, l'intervista della ineffabile radiosa producer televisiva di MTV a Dave, che tenta di essere scelto per un reality show. Non ti ho dato abbastanza? Ricompensami. Sbattimi in tv. (…) Tutti devono sapere. Ti prometto che lo farò gradulamente, con arguzia, con gusto. Allora, mi hai preso? Ti ho spezzato il cuore? Era abbastanza triste la mia storia?”.

Ne viene un viaggio, che è a metà tra fuga e speranza, e un libro, che si prendeWhere the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze seriamente gioco di sé a partire dal titolo, e rispetta il vecchio adagio per cui tragico e comico sono, anche loro, fratelli. Filarsela via. Procedono, ma non è un viaggio on the road, è solo un tentativo di far risplendere la propria giovinezza malgrado tutto inintaccata, ruzzolando, inciampando, riconoscendosi le star di una gigantesca sit-com, dolorosamente veritiera. Irredenti, patetici, fragorosi. Dave si inventa per sé e per il fratello una strategia da supereroi splendenti, guidato da una voce “eccitata e squillante” che lo spinge a inventarsi una vita simile a un videoclip “un sacco di tagli veloci, folli angolazioni di ripresa, fun, fun, fun!” – solo un altro modo di tenere occupato un ragazzino in un modo differente dal chiedergli in continuazione come si sente di fronte al lutto avvenuto – perchè tenere occupato, in un certo senso, è riempire a piene mani il vuoto mangia-bambini che tutti proviamo ogni tanto, quello che si allarga sotto il letto, favorito dal buio. La strategia della resilienza scoperta, messa in pratica e lavorata nel linguaggio letterario – Eggers rende il Toph del libro il depositario di tutti i dubbi, le intelligenti perplessità e le paure di tutti coloro che gli sono cari, comprese le proprie – ma qualunque linguaggio vitale è per prima cosa letteratura. E gli urti sono tanti, il disastro dietro l'angolo, non sempre a causa di una morte clamorosa. E non solo per i bambini. La soluzione unica? Barattare la vita con una storia. A salvarlo è una storia – scrive Aldo Spiniello a proposito di Max nel paese delle creature selvaggeregni, vichinghi, poteri magici, promesse di felicità. Solo le storie ci salvano la pelle. Anche se palesemente inventate, false, sconclusionate.

 Where the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze Creature selvagge

 

Nascono da un omaggio appassionato al libro dello scrittore e illustratore Maurice Sendak (Where the wild things Are, Harper & Row, 1963), nato a Brooklyn. Dallo script trasformato poi in romanzo è spuntato fuori il film omonimo di Spike Jonze (Adaptation, Essere John Malcovich) uscito in Italia come Nel paese delle creature selvagge. Non senza una lavorazione tormentata – in fase di test la pellicola suscitava obiezioni, la Warner Bros lo riteneva troppo surreale e adulto per il target a cui voleva destinarlo in principio – e riscaldato dalla presenza (in carne e ossa o in voce-per-pelliccia) di attori solidi: Catherine Keener, James Gandolfini, Forest Whitaker, Paul Dano, Catherine O'Hara,Where the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze Lauren Ambrose.

A coloro a cui piace ritenere che l'infanzia sia una passeggiata sceglie di ignorare che anche nell'infanzia, e soprattutto, emerge ostile la Domanda. Nel film viene affidata ai dolci occhi intenti e segretamente minacciosi delle creature, tanto disponibili a credere a un re di un metro quanto ossessionate da un pensiero semplice: Cosa hai fatto per la solitudine? In altre parole… terrai lontana la tristezza?

Chi ha visto nel film morbidi pupazzoni rassicuranti sceglie di ignorare del tutto la sottile ambiguità con cui gli artigli delle creature si avvicinano a Max per stringergli la mano o fare una carezza; l'asprezza di cui sono capaci – Judith che cerca di instillare in Max il dubbio che per lui le sue creature (le sue fantasie) non siano proprio tutte uguali e che non a tutte lui sia disposto a dare una chance, il bonario Carol che ha accessi d'ira e in sogno dilania il re che non è capace abbastanza di governare la felicità perenne – la loro malinconia – anche Carol ha un fortino come un ragazzino, Where the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze - on setuna rappresentazione del suo mondo che una volta tutti passavano a celebrare, ma adesso tra i suoi pensieri di creatura selvaggia che manifesta rabbia e affetto tutti di impatto fisico, ce n'è uno terribile, la metafora orrorifica e l'incubo ricorrente di uno scorrere del tempo che non è esattamente crescere o invecchiare, ma farsi sfuggire tempo e amori tra le mani “i denti che ti cadono lentamente che non te ne rendi conto”. Perfino quelli che dovrebbero essere i depositari della verità – l'equazione di una possibile felicità, avere il potere di accontentare tutti – i due tipi obiettivi, sono due gufi dall'aria non troppo sveglia. La delusione di Max lascia volentieri spazio ad altri tentativi. La resilienza non obbedisce alle statistiche sui fallimenti: la soluzione di emergenza potrebbe essere, à la fight club, la guerra: la battaglia di zolle, una messa in scena realistica della rabbia, con veri colpi, veri lividi, nella speranza di ottenere veri sentimenti. Ma ci sono dei momenti di perplessità e di silenzio troppo prolungato, come al rallentatore, da parte delle creature – un re è un organizzatore di giochi, ma i giochi sfuggono di mano, è la loro natura. A parte i momenti di frenetica allegria, tutto il periodo di regno di Max è malinconico, e lode a Jonze per non aver frainteso l'assunto della storia, per cui un mondo fantastico ha le stesse dinamiche di uno quotidiano. Anche il primo incontro con le creature selvagge le mostra come una scombinata famiglia problematica (il che è un ossimoro), composta di creature altrettanto problematiche, alle quali dire che il sole prima o poi morirà è una faccenda, diciamo… problematica. A Catherine Keener, attrice capace di esprimere in modo clamorosamente realistico tutte le contraddizioniWhere the wild things are - Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze di un essere umano in un solo sguardo – seducente e frenetica in Essere John Malcovich, ultimamente, dolente e intensa in Into the Wild – viene affidata l'accoglienza di quello che è sempre un bizzarro avventuriero imbrigliato nel governo dei propri mondi: un figlio, risparmiandoci un rientro del figliol prodigo che altri avrebbero enfatizzato. Questa breve avventura – in fondo nel film non succede niente di speciale, e questo è un pregio – si limita a terminare, per questa volta, con un abbraccio, ma soprattutto un bicchiere di latte al tavolo di cucina – ancora oggi quando lo faccio con mia madre potrebbe venirmi un colpo per la perfetta sintesi di protezione e accettazione che un gesto simile contiene “la merenda” che serve a recuperare le energie e forse anche solo a rassegnarsi – e uno sguardo silenzioso. Entrambi, madre e figlio, ora sanno che non sarà una passeggiata, né la loro vita individuale, né il loro amore. Entrambi pensano che infine ne valga comunque la pena, un po' come Clementine e Joel nel film di Gondry.

 

Toph, Dave, McSweeney

Da un'intervista a Toph e Dave Eggers:

– Qual'è il fratello è più divertente?

– Penso che entrambi sappiamo che Toph è il più divertente – risponde Dave.

 

The Believer - McSweeney's - Dave EggersOggi Cristopher Eggers ha 26 anni, si è laureato nel 2006 a Berkeley e ha dei progetti con Spike Jonze e Judd ApatowDave Eggers ha 39 anni, ha fondato nel 1999 McSweeney’s, rivista letteraria sperimentale e casa editrice (in Italia la mai abbastanza encomiata minimum fax ha pubblicato due volumi che raccolgono una selezione di testi comparsi sulla rivista: nomi del calibro di David Foster Wallace, Rick Moody, Jonathan Lethem, Zadie Smith, William Vollmann nel primo volume – The best of McSweeney's; i meno conosciuti (per ora) Kevin Brockmeier, Jim Stallard, Ann Cummins, tra gli altri, nel secondo volume, Non vogliamo male a nessuno). McSweeneys è l'erede naturale e il laboratorio che ha messo in pratica gli spunti e le idee delle precedenti fanzine di Eggers. Nel 2003 anche la rivista The Believer, accanto alla moglie, anch'essa scrittrice, Vendela Vida (in Italia sono stati pubblicati i suoi E adesso puoi andare e Le luci del nord cancellino il tuo nome), e in seguito la scuola di scrittura no-profit per ragazzi 826 Valencia.

Sempre con Vendela Vida ha scritto la sceneggiatura di Away we go di Sam Mendes, uscito in USA a giugno 2009, con distribuzione prevista praticamente in tutto il mondo eccetto che in Italia, interpretato da Maya Rudolph, Maggie Gyllenhall e John Krasinski (a sua volta regista di un film – anch'esso totalmente ignorato dalle sale italiane – primo e finora unico adattamento cinematografico di un romanzo di David Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi).

Tra i prossimi progetti di Eggers legati al cinema, lo script per un film del regista tedesco Tom Tykwer, a partire da Erano solo ragazzi in cammino. Un altro adattamento cinematografico, diretto da Miguel Arteta (Chuck & Buck, A good girl, Youth in revolt) dovrebbe essere realizzato dal suo romanzo Conoscerete la nostra velocità. Dall'ultimo Zeitoun (2009), infine, Jonathan Demme ha intenzione di trarre un film animato sull'uragano Katrina.

 

Dave Eggers – Bibliografia italiana

Creature selvagge, Mondadori, 2009 – traduzione di Gianni Pannofino
Se non è vietato è obbligatorio, minimum fax, 2008
Non vogliamo male a nessuno. I migliori racconti della rivista McSweeney's, Vol. II (a cura di), minimum fax, 2008
Erano solo ragazzi in cammino. Autobiografia di Valentino Achak Deng, Mondadori, 2007, traduzione di Giuseppe Strazzeri
La fame che abbiamo, Mondadori, 2005, traduzione di Matteo Colombo – Giuseppe Strazzeri
Conoscerete la nostra velocità, Mondadori, 2004, traduzione di Giuseppe Strazzeri
L'opera struggente di un formidabile genio, Mondadori, 2002, traduzione di Giuseppe Strazzeri
"Lettere di Steven, un cane, ad alcuni capitani d'industria", in Burned children of America, minimum fax, 2001

 Burned children of AmericaDave EggersLettere di Steven, un cane, ad alcuni capitani d'industria, in Burned Children of America, minimumfax 2001, traduzione di Marco Cassini

[prima lettera]

Il 5 agosto del 2000 Daniel O'Mora, un ingegnere meccanico di Austin, nel Texas, ha inviato venti lettere ad altrettanti amministratori delegati di alcune fra le aziende incluse nella speciale classifica delle 500 Aziende dell'Anno secondo il periodico "Fortune". Qui di seguito ne pubblichiamo cinque.

Hugh L. Thomas, Jr.
Amm. Del.
Bank of America Corp.
100 N. Tyron Street
28255 Charlotte
North Carolina.

Egregio dottor Thomas,
Immagino che lei sia una persona impegnata quindi vengo subito al sodo. Recentemente ho scritto alcuni brani dal punto di vista di un cane di nome Steven, e vorrei che ne leggesse un esempio. Eccolo:

Mi chiamo Steven e sono nato in una scatola di vetro, su dei fogli di quotidiano tagliati a strisce. Ora sono qui, cinque anni dopo, e le mie zampe, che un tempo erano bianche come la carta, ora sono bianche come l'avorio. Ho camminato per tante strade! E per tanti campi! Ho visto un sacco di cose! Quante mani di bambino ho morso! Hanno un aspetto dilettevole, e un gusto così saporito!
Devo muovermi. Devo muovermi. Posso fare un salto di un chilometro.
Sono un cane fatto così – posso saltare un cavolo di chilometro ! Sono un gran bel cane. Vedo i colori allo stesso modo in cui voi sentite il sibilo di un jet.
Voglio trovare un buco. Voglio trovare un buco piccolo piccolo piccolo e attraversarlo come quel cazzo di Gandhi.

Per ora è tutto.

Daniel O'Mara
5811 MesaDrive, # 216
78731 Austin, Texas

 

 

 

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