#CD17 – Digging New York. Simone “Danno” Eleuteri al Corto Dorico

Nel documentario, che indaga le origini della musica hip hop newyorkese, il rapper si mette in gioco e segue un percorso di ricerca personale e vitale. Incontro con il pubblico di Ancona

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Digging. Scavare, approfondire, tornare alla matrice, cercare la traccia di qualcosa che rischia di scomparire sottoterra. Con il suo documentario Digging New York – presentato al 17 Corto Dorico Film Festival ad Ancona – il rapper italiano Simone “Danno” Eleuteri decostruisce se stesso per capire di cosa è fatto, e si dissolve per poi diventare corpo cinematografico, rima e dissonanza, testo e melodia, protagonista e spettatore. Come se si trattasse di un lavoro di archeologia – ma con la speranza di trovare un corpo ancora vivo – Danno crea un racconto diviso in sette giorni, che indaga le origini della musica hip hop newyorkese attraverso un viaggio nella Grande Mela, cercando la genesi delle band che hanno segnato la sua vita – come Wu tang clan, Mr Kaves, House in Pain e Lordz of Brooklyn – e anche le nuove generazioni che hanno preso l’hip hop come stile di vita, arma di lotta e salvezza. Mentre ritrae pezzi della loro storia e dell’immaginario che rimane sospeso in posti come Staten Island, Brooklyn o Harlem, il rapper esprime la sua volontà di improvvisare e segue un percorso freestyle, un racconto in chiave di rima che si lascia andare alla deriva ma che trova sempre il modo di riprendere il ritmo, il fiato, di muoversi e rappare la rima successiva.

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Più di costruire un racconto storico, oppure proporre un saggio sulle manifestazioni artistiche e socialila ricerca di Danno sembra ritrarsi in centomila domande, tornando sempre alla sua inquietudine definitiva: l’hip hop è morto? In ogni incontro, in ogni

DNYdialogo, in ogni territorio percorso, il rapper fa questa domanda a viva voce, in un modo viscerale e testardo, cercando una traccia di vita, oppure la prova definitiva che rettifichi la condizione organica della musica del suo affetto. Le risposte che trova gli fanno riprendere il fiato, soprattutto lo scambio con un rapper newyorkese, afroamericano, che sembra di aver fatto del pensiero un’ideologia: “Sai? Questa è la logica: se io sono l’hip hop, se te sei l’hip hop, ed entrambi mangiamo, respiriamo, siamo vivi, allora l’hip hop non può essere morto. Perciò ne sono convinto. Finché io vivo, finché tu vivi, mentre tutti noi viviamo, l’hip hop continuerà a vivere”.

Il fatto è che “Danno”, come l’hip hop, oggi sembra più vivo che mai. Prima della proiezione di Digging New York al Cinema Italia di Ancona – dove si svolge parte del Corto Dorico Film Festival – la sua presenza si sente ovunque, anche se lui non è ancora arrivato. In sala, la musica di DJ KAME fa ballare i ragazzi, quasi tutti stranieri, che si lasciano andare e ci regalano una dimostrazione gratuita di ballo freestyle, mentre condividono cibo afghano e pakistano offerto dal GUS Gruppo Umana Solidarietà. Sul grande schermo a volte compare un’immagine del film, una visione fugace che poi sparisce. Ciò che rimane è la musica e l’attesa. Poi all’improvviso la figura di Danno si rende gigante e il viaggio finalmente comincia, con un’immagine di un treno che va da Manhattan a Brooklyn. E anche se il film è iniziato, la musica non è finita. Le teste e i piedi dei presenti continuano a muoversi, seguendo un flusso naturale.

Dopo la proiezione, Simone “Danno” Eleuterio prende la parola e subito vuole chiarificare qualcosa:“La prima volta che mi firmo come regista ma è stato un tradimento alle spalle, questo è un lavoro congiunto con Daniele Guardia, con cui ci siamo trovati in questo folle viaggio a New York. Infatti, Daniele mi ha proposto di andare tre settimane a New York e ho subito detto sì! Poi mi sono lasciato prendere dal panico, non sapevo cosa fare … ma poi ho fatto un ragionamento molto semplice: io appartengo a quella generazione che si è innamorata dell’hip hop quando non andava di moda, quando non rappresentava nessun tipo di svolta, era puro amore e passione per questa roba che chiamiamo doppia H”.

Senza riprendere fiato, Danno racconta il suo amore per i rapper americani: “L’hip hop l’abbiamo conosciuto attraverso loro, io da ragazzino ho ascoltato Beastie Boys, Public Enemy, Wu Tang clan, fino ad arrivare a Eminem e ai rapper che fanno musica oggi. Abbiamo passato anni della nostra vita a sentirci innamorati di questa musica, pur sapendo che era una roba molto lontana. Allora, avendo questa forte passione per l’hip hop americano, ho pensato di provare a vedere come stavano lì le cose”.

25075723_10155141144237966_164725675_oLe riflessioni continuano e il rapper sembra di ripercorrere un’altra volta l’esperienza di aver girato il documentario: Ho pensato forse tutto ciò che so del hip hop lo so attraverso i dischi, i riviste, i video, ma non lo avevo mai visto con i miei occhi. Mi sono detto, sarà vero che a New York ci sono i ragazzini che fanno freestyle per strada, i rapper che ballano sotto la metro? Volevo capire anche come stavano alcune non dico vecchie glorie, ma quasi. Capire se i miti con cui eravamo cresciuti ancora sono miti. Oltre a quello, bbiamo scoperto che oggi quasi tutti fanno rap perchè gli va di farlo, quasi come respirare, una passione, se riescono a trasformarlo in lavoro, meglio. Ma fondamentalmente non si fermano perché le cose non gli sono girate come avrebbero voluto. Abbiamo visto anche quanto l’hip hop è una roba di comunità, di fare concerti gratuiti, di portare da mangiare, da bere, ma anche la musica, fare una festa che coinvolga tutti”.

Detto questo, Danno ringrazia di cuore e continua a modo suo, suonando per i presenti, che non hanno mai smesso di muovere i piedi e seguire il ritmo dell’incontro. A quanto pare, finché l’hip hop resta vivo, la festa può continuare.

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