#CD17 – Incontro con Ruggero Deodato e Daniele Ciprì

I registi riflettono ad Ancona al Corto Dorico sull’immaginario cinematografico attuale, mentre si raccontano a se stessi, costruendo di volta in volta la loro propria dimensione immaginaria

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L’invito, oppure la premessa dell’incontro, è abbastanza vasto: riflettere sull’immaginario cinematografico con i registi italiani Daniele Ciprì e Ruggero Deodato, entrambi parte della giuria del concorso di cortometraggi del Corto Dorico Film Festival. Dal cinema al sogno. Dalla realtà alla decostruzione del mondo. Dalla fusione dei generi alla riscrittura dello sguardo. Mentre Ciprì cambia posto in continuazione sul palcoscenico e Deodato brilla per la propria essenza, l’atmosfera al Teatro delle Muse di Ancona diventa ogni secondo più carica e va oltre lo schermo per raccontarsi a se stessa. Dopo l’arrivo trionfale di Ruggero Deodato, è come se ci trovassimo nella dimensione di un cortometraggio di Daniele Ciprì – un momento, come il titolo del suo lavoro appena proiettato, “surreale -provvisorio” – la dialettica che si rivela subito fra i due ospiti, tra gioco e frizione, diventa il vero immaginario su qui riflettere.

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È lo stesso Ciprì a presentare al regista di Cannibal Holocaust, che invece di portarci nella dimensione horror e apocalittica che appartiene al cosiddetto Monsieur Cannibal, ci fa entrare subito dentro il suo immaginario quotidiano, come se fossimo nel suo salotto: “…di Ancona io conoscevo soltanto una ragazza con cui ho lavorato, era bella e bravissima, però cattiva, se sbagliavo mi faceva rifare tutto. Non l’ho visto più per fortuna, mi sono trovata una meno cattiva”.

Mentre Ciprì tenta di parlare, Deodato non si ferma e racconta il suo primo

25139147_10155147136527966_238620780_oincontro con Rossellini quando aveva 18 anni“lui mi chiamava Ruggerino” – con cui ha fatto i suoi primi lavori. Approfittando di un attimo di silenzio, Daniele interviene: “Dopo di che, Ruggero, hai fatto dei piccoli gioielli, che non si conoscono molto qui ma più all’estero…” “Lo vedi?” Risponde Ruggero, “la cattiveria che esce fuori…”Non è cattiveria!”, si difende Ciprì. Poi aggiunge: “Ma ti ricordi che pure abbiamo fatto una giuria insieme tempo fa, e mi sa che abbiamo litigato, non eravamo d’accordo riguardo al corto vincitore…” Ho vinto io? Domanda Deodato. “No, io!” sentenza Ciprì.

La gara finisce lì, quando Ciprì riprende l’argomento dell’immaginario cinematografico. A Deodato, però, questa cosa lo stupisce: “Quando mi hanno invitato a parlare sull’immaginario, ho detto scusa ma che c’entro io, sono uno con i piedi per terra! Sono molto Rosselliniano, quando dicono che sono un regista horror non è vero, io leggo la cronaca e su una storia vera faccio un film”. Poi, indica Ciprì: “L’immaginario è lui, non io!” Ma per quanto il regista potentino s’impegni, nessuno dei presenti sembra essere d’accordo; anzi, tutto continua a tornare alla pietra angolare della dimensione Deodatiana, genesi dell’immaginario b che poi segnerà registi come Tarantino ed Eli Roth: Cannibal Holocaust. “Sí, è un film particolare perché è stato fatto 40 anni fa e ancora giro il mondo a farlo vedere. Devo dire che più lo rivedo e più dico: ero un pazzo! Mi ricordo di essermi divertito molto… e pensa te, divertirsi in Amazzonia, in mezzo agli indios, non era una cosa semplice. Lavoravo con lo scenografo di Fellini e un giorno gli dico: inventati come impalare questa ragazzina che ieri volevamo stuprare. La mattina dopo lui aveva già una idea su come impalare questa ragazzina! Geniale”.

cannibalholocaustIn mezzo a un contesto particolarmente vulnerabile, il regista continua a evidenziare l’impresa: “Quando ero con Tarantino a Venezia, lui mi ha rotto le scatole, voleva che gli dicessi come avevo fatto ad impalare questa ragazzina! Gli ho spiegato che avevo speso soltanto 10 dollari, non ci credeva. Vorrei aver la forza di andare in Amazzonia a cercare la ragazzina di 13 anni che ha fatto la scena, lei era di un villaggio dove non avevano mai visto un film, una macchina da presa, una fotografia. Che cosa avrà pensato questa, poverina, quando qualcuno le ha spiegato cosa sarebbe successo nella scena! Cosa ne avrà nella sua memoria?”.

Adesso è Daniele Ciprì a prendere la parola, allontanandosi dai bei ricordi dell’Amazonia: “C’è qualcosa nel cinema di oggi, soprattutto con la presenza dei droni e della tecnica, che secondo me impedisce di immaginare. Quando parlo di cinema con i ragazzi e mi fanno delle domande sulla tecnologia io mi preoccupo, perché prima di parlare della macchina da presa ci dovrebbe essere qualcuno che racconti una bella storia”. Questa volta, Ruggero è pure d’accordo: “È vero, e dipende da come proponi il film. A me piace proporlo come cinema verità, perché io giro come se fosse tutto vero. La preparazione a quello che vuoi far vedere deve essere importante, la devi immaginare per forza”.

Dopo aver condiviso il suo parere su Herzog“cosa è questo Fitzcarraldo, non puoi fare un film su un battello che fa le curve del fiume, dai! E poi ha fatto un film in Calabria su una palla che gira in 3D ed è venuto brutto, manco quello lo sa fare!” – l’incontro finisce con la proiezione del corto Ombre (ovvero i riflessi del tornato fra noi) con la chitarra dal vivo di Stefano Coppari, e con Ciprì e Deodato che scambiano un paio di battute e si abbracciano come vecchi amici. Cinema o sogno, immaginario o realtà, tecnica o narrativa, entrambi ci hanno raccontato una bella storia.

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