Cenzorka, di Peter Kerekes

In perfetto equilibrio tra fiction e riprese dal vero il racconto, esplicito e lineare, indaga sui vuoti esistenziali della detenzione. Orizzonti

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Cenzorka è uno di quei film che procede in un perfetto equilibrio tra fiction e riprese dal vero. Le sue protagoniste, sia le recluse della Colonia 74, il carcere femminile di Odessa, sia le sue guardie, mostrano con la dignità delle sconfitte, le ferite morali provocate dalla vita da recluse.

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L’incipit ci porta nella sala delle visite mediche dove alcune delle donne detenute vengono controllate durante la gravidanza. Successivamente il parto, uno vero, esplicito, come già in un vecchio film di Marta Meszaros, nella propensione dell’Europa dell’Est di non avere sotterfugi o mezze misure. Ed è così che il parto nella sua esplicita dirompenza rimuove ogni barriera e ci fa entrare in questo mondo carico di vite trattenute e di altrettante vite inconsapevolmente gioviali che sono quelle dei bambini che sono nati in quella condizione.

È dentro questi due poli opposti dei sentimenti che il film sa trovare la sua misura che è fatta soprattutto di silenzi, di racconti del passato, di paura delle madri per il futuro dei figli, di apprendimento del mestiere di madre dietro le sbarre, mentre i volti delle donne, più o meno giovani, più o meno infelici, sfilano ad uno ad uno davanti alla macchina da presa del regista slovacco.

Cenzorka indaga soprattutto sulle verità, quelle che hanno portato le donne a diventare omicide per amore e quelle dolorose che le vedono affrante dal sapere che dovranno affidare a qualcuno i figli che nel frattempo sono nati dentro le mura della prigione. Ma al contempo indaga sui rapporti familiari originari a volte spezzati e difficili da riannodare o su quelli con i nuclei familiari acquisiti e non è rarissimo che alcune di loro conservino buoni rapporti con le famiglie dei loro coniugi. L’occhio di Kerekes, mentre osserva le detenute, magari omicide per gelosia o per un amore disperato, è carico di comprensione e di desiderio di comprendere, ma d’altra parte ha trascorso dentro la Colonia 74 un tempo sufficiente per riuscire ad assorbire gli umori e i sentimenti delle recluse e le relazioni che si creano dentro un luogo come quello. Relazioni che portano ad inattese soluzioni e quando Leysa vedrà suo figlio compiere i tre anni d’età e riceverà il rifiuto della nonna ad accoglierlo e per il piccolo non resta che la soluzione dell’orfanotrofio, vedrà spalancarsi la possibilità dell’accoglienza da parte della sensibile secondina che, ascoltando le conversazioni della giovane detenuta e sentendo la sua disperazione, le viene incontro con l’inattesa soluzione.

Cinema e racconto di sentimenti, esplicito e lineare, fatto di intensi primi piani che esprimono i vuoti esistenziali della detenzione. Ma ad Odessa non poteva mancare una carrellata lungo una scalinata che ricorda, inevitabilmente, il cinema dei Padri al quale, anche qui, esplicitamente, Peter Kerekes con un silenzioso ma non invisibile omaggio, vuole legarsi con un atto di sincera ammirazione.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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