C’era una volta in America, di Sergio Leone
Adattando The Hoods di Harry Grey il regista filma la “sua” vita. Ossia la “magnifica ossessione” di uno spettatore cinematografico. Per la prima volta in 4K. In sala da oggi a mercoledì 30.
Rivedere C’era una volta in America oggi, su grande schermo, fa uno strano effetto. Per chi ha incominciato ad amare e “mangiare” cinema tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 l’ultimo film di Sergio Leone ha sempre assunto un ruolo particolare: gli inizi di un amore, il film-fiume, lo spettacolo del Mito, l’esperienza filmica per eccellenza insieme a Novecento di Bertolucci o I cancelli del cielo di Cimino. Dieci anni di attesa per realizzarlo, una produzione lunghissima e un montaggio travagliato che ha partorito varie versioni, sono il frutto di un gigantesco film/esperienza che lo stesso Leone sintetizza citando una frase di Joseph Conrad: “Credevo fosse un’avventura, invece era la vita”.
Ecco, è esattamente questo magma simbolico che ancora oggi stupisce e travolge del film: adattando un romanzo autobiografico di Harry Grey – The Hoods (1952), storia di una piccola gang newyorkese ai tempi del proibizionismo – il regista italiano filma la “sua” vita, ossia la magnifica ossessione eternamente fanciulla dell’essere spettatore. Lo sguardo dell’europeo Leone è fatalmente al di qua rispetto all’America e ai suoi miti, ma la sua passione viscerale produce sublimi riscritture erette solo su mura di celluloide: il trionfo del profilmico, degli enormi set/mondo, della musica/tempo di Ennio Morricone e dei generi cinematografici che partoriscono la vita solo nei primi piani insistiti degli attori.
Il Noodles di Robert De Niro è in fondo un eterno spettatore cinematografico che continua a guardare l’amata Deborah ballare: da ragazzo, attraverso la famosa fessura nel bagno mentre lei danza tra la farina; o da anziano, mentre lei recita Cleopatra in un teatro di pesanti maschere (in quella che forse è la più bella e commovente scena reintegrata in questa versione lunga di 4 ore e 20 minuti). Noodles, il gangster tradito che guarda e sogna, si trova improvvisamente in un teatro delle ombre (la materia prima dei cinema) e diventa finalmente un regista. Stordito dall’oppio scrive e produce una sua storia, una sua versione dei fatti, probabilmente irreale ma pura e autentica sentimentalmente. Da questo punto di vista C’era una volta in America è evidentemente il testamento artistico e umano di Sergio Leone. Perché nelle pieghe del gangster movie e del Mito americano, dei tradimenti e delle rapine a mano armata, balena con sempre più nitidezza lo sguardo affettuoso di un regista che sogna ancora tra le ombre. E poi sorride, sornione, sui titoli di coda del suo ultimo film/giocattolo. Rivedere oggi C’era una volta in America, con le sue scene reintegrate che hanno sofferto un po’ gli anni di isolamento – gli encomiabili sforzi di restauro non possono espungere quella “bellissima” opacità della vecchia pellicola ritrovata – fa pensare che l’unica risposta possibile alla tanto sbandierata morte del cinema nel XXI secolo risiede proprio in questa ostinata sincerità con cui si restituisce il proprio sguardo sul mondo: “in galera dovevi non pensarci che fuori c’era il mondo, dovevi dimenticare per non impazzire. Ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima era Dominik quando prima di morire mi disse sono scivolato. E l’altra eri tu. Tu che mi leggevi il cantico dei cantici, ricordi? Nessuno t’amerà mai come t’ho amato io”.
Titolo originale: Once Upon a Time in America
Regia: Sergio Leone
Interpreti: Robert De Niro, James Woods, Elizabeth McGovern, Scott Tiler, Rusty Jacobs, Jennifer Connelly, Tuesday Weld, Treat Williams, Joe Pesci, Danny Aiello, Burt Young, William Forsythe, James Russo, Mario Brega, Olga Karlatos
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 229′
Origine: USA, 1984