C’est pas moi, di Leos Carax
Una mostra non più realizzata per il Centro Pompidou si trasforma in un mediometraggio di 40 minuti. Un trip allucinogeno godardiano di un altro grande film non finito. CANNES77. Cannes Première.
“Dove sei Leos Carax?” Questa è la domanda fatta dal centro Pompidou al cineasta francese per una mostra che alla fine non si è più fatta. E, come exhibition, erano già pronti tutti i possibili tableaux vivants poi riuniti in C’est pas moi, mediometraggio di circa 40 minuti, in cui Leos Carax si racconta in prima persona e porta sullo schermo il proprio mondo facendo riferimento ai suoi film precedenti ma anche a frammenti della sua vita privata. È dichiaratamente un cantiere aperto, un work in progress già evidenziato nella frase all’inizio, un rapporto simbiotico con le immagini che gli appartengono come ‘diario della memoria’. C’è il suo attore-feticcio, Denis Lavant, dal personaggio che semina terrore e morte nell’episodio Merde del collettivo Tokyo!, al giovane e depresso aspirante regista che vaga per le strade di Parigi nel bianco e nero di Boy Meets Girl a Monsieur Oscar di Holy Motors fino a clocard e artista di strada di Gli amanti del Pont Neuf, il suo tormentato personalissimo L’Atalante.
Parigi, la Senna. Proprio sulla strada che costeggia il fiume in una traiettoria orizzontale, c’è il proprio film personale con la figlia ancora piccola Nastya, oggi diciannovenne, avuta dall’ex-compagna e attrice Katerina Golubeva morta suicida nel 2011. Un pezzo di diario privato, che spezza la linea Histoire(s) du cinéma godardiano, che risale all’infanzia dell’arte qundi del cinema con l’arrivo del treno a La Ciotat dei Lumière mostrato prima a tutta velocità. Il tempo del cinema può corrispondere o variare col tempo della percezione personale, a partire dalla corsa del cavallo, istantanea e sequenza fotografica di quella di Muybridge. Conta prima di tutto il mondo Carax. Dove sei? Gli sfondi di un temporale, John Ford e Nick Ray. La visione è deformata. Il grido hurrà a Putin, lo sfondo di un temporale, l’immagine di Roman Polanski in dissolvenza in cui Carax racconta la sua vita come quella di un amico ma premette che non l’ha mai conosciuto. La voce, il cinema. Carax ci mette prima il proprio corpo dello sguardo. Un trip allucinogeno di un altro grande film non finito – così come ci sono film molti film non finiti nell’opera del regista francese a cominciare da Pola X – dove il cinema non è il luogo ma solo un dei tanti luoghi per una visione che è prima di tutto un’esperienza sensoriale. Work in Progress.