Che cosa sono le nuvole?, di Pier Paolo Pasolini

Il tentativo del cineasta di staccarsi dal cinema realista per entrare in un territorio più poetico, nel quale l’ideologia viene assorbita dal racconto. Un gioiello

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“… Questa non è soltanto la commedia delle bugie che si dicono, ma anche della verità che non si dice”

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Terminato Uccellacci e uccellini, Pasolini rimase un po’ deluso dal film e, più specificamente, dall’utilizzo di Totò, la cui teatralità viene schiacciata dall’impianto ideologico del film. È lo steso Pasolini a spiegarlo chiaramente: “Quando ebbi finito Uccellacci e uccellini mi resi conto che l’ideologia vi aveva un peso molto maggiore di quanto non avessi preventivato. Cioè l’ideologia non era stata tutta assorbita dal racconto, dalla vicenda, non era stata tutta trasformata in poesia, levità, grazia.” Decise, allora, di tornare a lavorare con Totò (sempre in coppia con Ninetto) ma in una chiave più surreale (picaresca come si usava dire allora), attraverso una serie di corti che, nella sua idea (“… pensai di fare un film che fosse fatto di favole”), avrebbero dovuto formare un lungometraggio dal titolo impegnativo (benché solo ipotizzato): Che cos’è il cinema.

Le esigenze produttive, invece, fanno sì che la prima di queste “favole” ad arrivare sul grande schermo sia La terra vista dalla luna (terzo episodio del film Le streghe), nel 1966. L’anno dopo, sempre per un film ad episodi (Capriccio all’italiana) viene realizzato Che cosa sono le nuvole? le cui riprese finiscono appena poche settimane prima della morte di Totò e che arriverà in sala nel 1968, un anno dopo la sua morte. Entrambi rappresentano il tentativo, da parte di Pasolini, di staccarsi dal cinema realista che lo aveva caratterizzato fino ad allora per entrare in un territorio più poetico, nel quale, appunto, l’ideologia venga assorbita dal racconto. Pasolini, infatti, non rinuncia (e naturalmente non lo farà mai) all’aspetto ideologico del film, a rappresentare la sua visione del mondo: ma sceglie di farlo non più in maniera frontale ma trasversale per metafora, attraverso delle “favole”, appunto. Ciò impone, però, la necessaria convivenza di più piani di lettura dell’opera che diventano accessibili solo man mano che ci si allontana dal proscenio: dalla rappresentazione della realtà (apparente).

In un piccolo teatro di provincia, infatti, viene messa in scena una riduzione de l’Otello. Per gli spettatori del teatro l’unica realtà è quella messa in scena: le perfide trame di Jago contro Otello ed il conseguente omicidio di Desdemona. Una realtà così ingiusta da risultare insostenibile per il pubblico, al punto da farlo irrompere sul palcoscenico per impedire l’omicidio ed “uccidere” i “malvagi” Jago ed Otello. Il pubblico, quindi, non solo non percepisce la finzione del racconto, ma è come se non si rendesse conto dei fili che legano i burattini alle loro stesse azioni. I burattini, invece, si rendono perfettamente conto dello scollamento fra le loro azioni ed il loro sentire, specialmente Otello che, essendo appena arrivato, non è ancora preparato né, tantomeno, rassegnato al ruolo che è scritto per lui.

Otello: So’ un assassino! So’ un assassino! Chi se lo credeva! Io, io so’ un assassino, mannaggia!

Otello (rivolgendosi al Burattinaio): A sor Maè! Ma perché io credo a Jago? Perché so’ così stupido?

Burattinaio: Forse…è perché sei tu che vuoi ammazzare!
Otello: Come? Me piace ammazzare? E perché?
Burattinaio: Forse perché a Desdemona piace essere ammazzata…
Otello: Ah! E’ così?

Burattinaio: Forse è così.
Otello (rivolgendosi a Jago): Ma allora qual è la verità? Quello che penso io de me, quello che pensa la gente, quello che pensa quello là dentro…
Jago: Mah… Qualcuno dice che la verità non c’è … qualcuno dice che la verità è ’na media de tutte le verità diverse che ce stanno…Ma tu non dà retta a nessuno de questi… Perché c’è la verità.
Otello: E qual è?
Jago: Senti qualcosa dentro di te? Concentrati bene! Senti qualcosa? Eh?
Otello: Sì…sì sento qualcosa… che c’è…
Jago: Beh… Quella è la verità…Ma ssst, non bisogna nominarla, perché appena la nomini non c’è più…

Nel mondo delle marionette (ma anche nel mondo degli uomini) la verità è qualcosa da custodire gelosamente dentro la propria anima (perché l’anima è presente anche negli uomini/marionetta) proprio dove risiedono anche i sentimenti che altro non sono se non la chiave di lettura della propria verità.

Queste marionette oramai non servono più (devono essere sostituite, magari con altre meno coscienti): non resta loro che l’ultimo viaggio verso la discarica, accompagnate da un monnezzaro/Caronte, interpretato da Domenico Modugno, che svolge il suo servizio sulle note della bellissima e struggente canzone omonima composta, per l’occasione, su testo dello stesso Pasolini (prendendo spunto proprio dall’Otello) che altro non è che un’invocazione alla forza dei sentimenti, l’unica forza in grado, forse, di tagliare i fili del burattinaio o, quantomeno, di renderli visibili.

Le marionette, allora, escono dalla loro vita-rappresentazione per entrare nel mondo reale che, per loro, altro non è che una discarica, ma dalla quale si può scrutare il cielo (e con esso le nuvole) che è il luogo dei sentimenti (tutto il mio folle amore, lo soffia il cielo), quel luogo in cui la verità che sta dentro di noi può finalmente uscire ed unire nell’ammirazione della meraviglia del creato Otello e Jago, non più nemici perché non più legati da fili, ma liberi di dare sfogo alla verità dei loro cuori, fosse anche se solo in punto di morte.

 

 

Regia: Pier Paolo Pasolini
Interpreti: Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Laura Betti, Domenico Modugno, Adriana Asti, Francesco Leonetti
Durata: 22′
Origine: Italia, 1967
Genere: fantastico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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