"Che fine ha fatto Osama Bin Laden?", di Morgan Spurlock
Se in Super Size Me il senso si sviluppava e cresceva al pari del corpo dell’autore/cavia, qui si ha la sensazione dell’eccessiva presenza di una tesi precostituita. La tensione alla conoscenza e alla verifica cede il passo all’ovvio. Quando Spurlock si ferma all’ingresso delle zone tribali, ammettendo che non ne vale la pena, che Osama Bin Laden è solo l’effetto e non la causa di determinate dinamiche e politiche globali, sentiamo di essere arrivati a un punto non troppo lontano da quello di partenza
Dopo averla scampata bella in Super Size Me, Morgan Spurlock si mette nuovamente in gioco, in una ricerca folle e strampalata del nemico pubblico numero uno, Osama Bin Laden. Tutto nasce da una premessa. Spurlock e la compagna stanno per aver un bambino. Come garantire al nascituro un futuro felice e sereno? C’è un solo modo, probabilmente. Eliminare alla radice la minaccia più grave per gli Stati Uniti, scovare e catturare il responsabile della tragedia del millennio, il leader ‘massimo’ del terrorismo islamico, il teorico e il finanziatore principale della guerra santa all’Occidente. E’ un’idea folle, ovviamente. Se migliaia di soldati e 007 addestrati e superequipaggiati non sono stati capaci di trovare un tizio ‘con la barba’, come è immaginabile possa riuscirvi un uomo solo, per di più ‘semplice’ documentarista? E’ su questa sproporzione palese tra i mezzi e l’obiettivo che si fonda la vertigine ironica di Che fine ha fatto Osama Bin Laden? Un’ironia che, effettivamente, segna larghi tratti del film, specialmente all’inizio, quando assistiamo alla preparazione di Spurlock per il lungo viaggio, tra vaccinazioni totali e improbabili addestramenti di sopravvivenza. E’ soprattutto in questa fase che il regista americano si muove nella stessa direzione di Super Size Me, facendo del proprio corpo il vero protagonista della narrazione, al tempo stesso agente e paziente della trasformazione. Pur rimanendo sempre questa la traccia decisiva del cinema di Spurlock, la cifra del suo metodo di documentarista, a mano a mano che si procede nel viaggio, Che ha fatto Osama Bin Laden? sembra ripiegarsi su posizioni più convenzionali. C’è varietà, è vero. Animazione e computer graphic, che veicolano i momenti più sarcastici, le pause contemplative, le note commoventi della gravidanza vissuta a distanza. Spurlock mostra di saper tenere le fila del racconto con abilità consumata e con una certa dose d’istrionismo che in fondo non guasta. Commenta e parla molto, ma non invade, come Michael Moore. Eppure, se in Super Size Me il senso si sviluppava e cresceva al pari del corpo dell’autore/cavia, qui si ha la sensazione dell’eccessiva presenza di una tesi precostituita. La tensione alla conoscenza e alla verifica cede il passo all’ovvio. Quando Spurlock si ferma all’ingresso delle zone tribali, ammettendo che non ne vale la pena, che Osama Bin Laden è solo l’effetto e non la causa di determinate dinamiche e politiche globali, sentiamo di essere arrivati a un punto non troppo lontano da quello di partenza. Abbiamo attraversato l’Egitto, il Marocco, Israele, la Palestina, l’Afghanistan, il Pakistan. Ma il risultato, la meta non ripagano della fatica del viaggio.
Titolo originale: Where in the World Is Osama Bin Laden?
Regia: Morgan Spurlock
Distribuzione: Fandango
Durata: 96’
Origine: USA, 2008