Chi è senza peccato – The Dry, di Robert Connolly

Un’esplorazione dei territori estremi del noir, tra spazi deserti, coincidenze ed indiziati che diventano fantasmi. Alla fine cede ma rimane un’operazione tanto incosciente quanto coraggiosa

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Chi è senza peccato è, ad oggi, il thriller di maggior successo in Australia. È un fatto curioso, perché il film di Robert Connolly, salvo la presenza di Eric Bana nel cast e l’essere tratto dal popolare romanzo di Jane Harper, sembra fare di tutto per respingere il suo pubblico e per smarcarsi dalle attese. Chi è senza peccato è infatti un prodotto anomalo ma al contempo ben legato alla visione del suo regista, straordinario cineasta di confine, perfetta sintesi tra impegno e intrattenimento, autore di The Bank, lucido j’accuse del capitalismo sotto forma di racconto di formazione ma anche produttore del recente cult catastrofico These Final Hours.

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Chi è senza peccato è il primo film di genere con cui si confronta eppure, più che irretito, Connolly pare attratto da questa Terra Incognita. Per lui, il thriller diventa uno spazio tutto da esplorare e rileggere attraverso un punto di vista quasi liminale, che lo porta a escogitare soluzioni tanto personali quanto spiazzanti. Robert Connolly (qui anche sceneggiatore insieme ad Harry Cripps) parte dal romanzo, un’oscura storia che vede un detective tornare nel suo paesino natale per indagare su un fatto di sangue che forse ha dei legami con un’altra tragedia vecchia di vent’anni e lo traspone inseguendo l’approccio minimale dei noir di Taylor Sheridan e le atmosfere di Dennis Lehane. Ma sono solo tracce. Appena può, Connolly svia improvvisamente dal seminato e trasforma il racconto in un thriller sotto acido, in cui gli splendidi territori australiani, immensi, vuoti, ricordano degli spazi appena rivoluzionati da una catastrofe, quasi marziani. L’indagine diventa dunque il sogno febbrile del personaggio di Eric Bana, che attraverso un approccio in scena misurato e umanissimo pare farsi carico dei lati oscuri della cittadina.

Chi è senza peccato

Non è un caso, forse, che il racconto funzioni meglio quando asseconda l’atmosfera visionaria del contesto, depistando lo sguardo dello spettatore, giocando con gli spazi e mettendo alla prova la sua stessa coerenza. Il passato si confonde nel presente, i personaggi appaiono al detective proprio quando ne ha bisogno, gli alibi ritornano, identici, a distanza di vent’anni e lo stesso investigatore sembra nascondere più di un segreto. Robert Connolly esplora i territori estremi del thriller ma fallisce nel trasformare le sue sortite in un immaginario compiuto. Alla lunga la regia perde la presa sul racconto e ne svela i meccanismi. I personaggi si irrigidiscono, si caricano di abbozzati sottotesti politici, il confine tra scelta consapevole e illogicità nella scrittura si assottiglia e la diegesi non nasconde la sua insofferenza nei confronti della detection, ridotta a scomoda appendice di cui liberarsi al più presto.

È la dimostrazione di quanto lo spazio in cui Connolly si trova a suo agio sia quello delle visioni, dei ricordi. È da lì, dal passato, che proviene la storyline più avvincente, è quella stessa dimensione che influenza la straordinaria, folle, sequenza finale, in cui il ralenti deforma all’estremo il confronto tra detective e colpevole.

Chi è senza peccato alla lunga cede a contatto con una dimensione che lo rifiuta ma riesce a essere un coraggioso (quasi incosciente) film pienamente  d’autore, che ripensa il genere e, soprattutto, sfida lo spettatore, lo costringe ad adottare un nuovo passo per approcciare la materia e a stipulare un nuovo, inatteso, patto con il suo narratore.

 

Titolo originale: The Dry
Regia: Robert Connolly
Interpreti: Eric Bana, Genevieve O’Reilly, Kier O’Donnell, John Polson, Bruce Spence, James Frencheville
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 117′
Origine: Australia, USA 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.45 (11 voti)
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