Chocolat
"C'era una volta…" Chocolat inizia così, come le favole più tradizionali. La sensuale Vianne arriva portata dal vento del Nord, in una fredda mattina d'inverno, a sconvolgere l'equilibrio di un isolato e religioso villaggio francese. Cioccolata che rivela, disgela, risolve problemi: dalla depressione a quelli sessuali, ma anche semplicemente ricostruendo rapporti umani che sembravano ormai perdutamente incrinati. Cacao che restituisce giustizia a valori sopraffatti e governati da una falsa spiritualità.
La favola avrebbe potuto facilmente scadere nel melodrammatico, diventare eccessivamente sentimentale. Invece si dimostra efficace proprio perché riesce a rimanere fiaba, con personaggi che, così dipinti, non potrebbero mai appartenere al reale. Fiaba d'altri tempi (e per questo "universale"), ma con un approccio morale sempre realizzabile. Il personaggio di Vianne rappresenta un'anomalia rispetto alla normalità solidificata del mondo in cui piomba: il suo essere estranea, atea, con una figlia illegittima, il suo inevitabile porsi in conflitto con gli abitanti del villaggio e i loro credo più fermi, con delicatezza, bontà, e una grande forza interiore, costringe l'intero villaggio a ridimensionarsi, confrontarsi, ricostruire la propria realtà su altre basi: magiche, incomprensibili eppure vere.
Lasse Hallström come in Le regole della casa del sidro e Buon compleanno Mr. Grape, riesce a recuperare il respiro di un'epoca ormai perduta: il secondo dopoguerra Europeo, gli anni '50 francesi, stavolta, con il morbido ritmo del cinema europeo in una confezione comunque hollywodiana. Juliette Binoche vive il suo personaggio in maniera davvero intensa, ma anche il resto del cast (tra cui spicca Lena Olin che aveva già lavorato con la Binoche ne L'Insostenibile leggerezza dell'essere) si rivela funzionale. Questi corpi vivono dentro lo spazio appositamente creato dalla fotografia di Roger Pratt che appare così caratterizzata da inserirsi come un altro personaggio, in cui domina un colore ocra che invade lo schermo e suscita sensazioni a livello poco più che subliminale.
Camilla Lai