CiakPolska 2019 – 7 Emotions, di Marek Koterski

In programma oggi alla Casa del Cinema di Roma una commedia dell’assurdo, una divagazione autoriale nonsense che nasconde un’operazione delicata

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Devi ascoltare i bambini…Non fare loro domande se non sei interessato alla loro risposta … Non giudicare i loro sentimenti … Rispetta la dignità dei bambini… Non insultarli… Non ridicolizzarli …Non mettere in discussione la loro parola… – Dai dialoghi del film

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Non è affatto semplice entrare nel mondo di Marek Koterski. Il suo sguardo sulla vita non è consueto, non è a la page, non è soprattutto facilmente assimilabile se non in un’ottica di metabolizzazione che passa per una lunga frequentazione con un proprio io interiore sempre ricco di sorprese e di nodi irrisolti. Forse è un cinema che potrebbe piacere ad un Woody Allen del passato ed è sicuramente un’operazione che ha sempre molto di personale nella sua componente artistica di dilemmi più o meno inconsci.
Figlio di un intellighènzia polacca rimasta un po’ orfana dai mutamenti radicali di quella società, Marek Koterski è uno dei molti registi usciti dalla grande scuola di Łódź e il suo cinema, ma anche i suoi lavori teatrali, ad esclusione del primo periodo della sua carriera, hanno spesso avuto un forte carattere autobiografico, tanto che l’autore ha sempre lavorato su proprie sceneggiature, segno ulteriore e manifesto di una poetica che vuole essere quasi esclusivamente personale e i cui contenuti non sono così facilmente condivisibili. In quest’ottica il regista polacco ha creato il personaggio di Adaś Miauczyński che di film in film, costituisce un proprio alter ego, nevrotico e insoddisfatto e frustrato, separato dalla moglie con la quale occasionalmente continua a vivere. Il personaggio così delineato si è costruito nella elaborazione di film e opere teatrali del regista polacco.
Ricompare anche in 7 Emotions in veste infantile con il ruolo affidato al vero figlio di Koterski, Michail. Nell’ottica di una poetica tutta rivolta verso sé stesso, in cui il cinema diventa una specie di continua seduta di autoanalisi, il film di Koterski delinea ancora più nettamente questo suo profilo. Un contorno che rischia di restare sfumato, se non incomprensibile o al meglio, solo superficialmente compreso, se privato di necessarie premesse che siano l’antecedente naturale di precise scelte artistiche. È su questo equivoco – ove non venga chiarito – che il film potrebbe indebolirsi e vanificare la sua capacità attrattiva. È un’operazione, quella di 7 Emotions che nella carriera del regista diventa approdo di un percorso, ma che rischia di diventare fenomeno isolato, forse incomprensibile, frutto di una occasionale complessa elaborazione. Il torto maggiore che può farsi al film è quello di essere guardato come un puro divertissement o una divagazione autoriale un po’ nonsense.
È per questo che 7 Emotions è un’operazione delicata – come tutto ciò che ha a che fare con gli strati della propria coscienza – nella sua aliena, e non altrimenti comprensibile, natura di commedia dell’assurdo, canone artistico, peraltro, adoperato dal regista polacco come propria forma espressiva. In questa accezione il film è godibile nei suoi tratti ironici, acidi, divertenti, nei limiti di un divertimento sempre amaro e sicuramente inconsueto.
La vicenda si riassume in poche righe. Adaś Miauczyński per completare la propria analisi psicologica torna alla propria infanzia per rivivere le fondamentali emozioni che sembrano dimenticate. Il film è la proiezione di questa fantasia in cui i bambini sono interpretati da attori adulti che in un’operazione di puro transfert assumono pensieri, atteggiamenti e pose fanciullesche.

Il film è dunque, a parte le brevi parentesi iniziali e finali e qualche breve intermezzo, una rievocazione fantastica, chiaramente ispirata ad una normale biografia infantile, in cui in un processo di rielaborazione e insieme rievocativo, sia possibile riconoscere gli stadi di una difficile crescita, di una conquista dolorosa dell’età adulta. Episodi se si vuole banali e quotidiani, le interrogazioni a scuola, le cotte amorose non corrisposte, il mondo familiare repressivo e la difficile conciliazione di tutto questo in un’ottica infantile. Adaś soffre questo stato di cose insieme ai suoi compagni di classe e vive in un mondo che tutto è tranne che edulcorato. 7 Emotions è dunque la dimostrazione della fatica della fanciullezza e l’incomprensibile, per ogni adulto, universo infantile che viene fuori, forse proprio perché interpretato da attori adulti, con chiara evidenza in tutta la sua infelicità. Un film pessimista e a tratti impietoso che prova a fare guardare agli adulti, come in uno specchio che riflette il passato, un pezzo del proprio stesso mondo infantile. Un gioco di rispecchiamento a volte perfino sgradevole nella rappresentazione abnorme di bambini/adulti.
Per tutte queste ragioni, 7 Emotions non è film non semplice ed è soprattutto facile che venga frainteso, laddove, spacciato per una commedia, si riveli invece, una specie di horror dell’abisso della coscienza. In questa complessità, dalla semplice messa in scena, sta la prova della sua naturale laboriosa consistenza. Ulteriore dimostrazione ne sarà il finale, talmente esplicativo nel suo possibile drammatico esito, da diventare emblema di quella infelicità infantile di cui il racconto è testimone.
Marek Koterski non firma una commedia, firma un doloroso dramma degli irrisolti problemi di un adulto, da ricercarsi, come nella migliore tradizione degli approfondimenti psicoanalitici, nella coscienza e nella biografia infantile, un film che è un’autoanalisi, una piena e impietosa immersione in un mondo dimenticato che si fa improvvisamente luminoso sotto i fari del ricordo. È questo il rivivere, per i nostri giorni da adulti, quelle sette fondamentali emozioni dimenticate, così forti durante la vita infantile e così sottaciute nella vita matura. È proprio questo il problema di Adaś Miauczyński, quello di non sapere più vivere la tristezza, la paura, la rabbia, la solitudine, la vergogna, la colpa e anche la gioia. Perché questo avvenga da adulti è necessario che siano gli adulti a rispettare il decalogo urlato nel commovente finale dalla bidella nei corridoi della scuola quando, nel suo pensiero, si fanno definitivamente chiare le idee sui bambini e sul loro sentire.
La vita infantile e la vita adulta sono al centro di questa riflessione ed è forse per la prima volta che al cinema vengono in chiaro così manifestamente, nella doppia personalità dei suoi protagonisti. Sia pure nella finzione giocosa della recitazione compiono il transfert necessario per dare vita ai propri personaggi e, al contempo, esprimono, in forme infantili, ma con l’esperienza di una reale maturità, la fatica di quell’età, il duro passaggio all’età più adulta, quello che in passato ha provato già a dirci Collodi con il suo Pinocchio che come questa non è una favola, ma vita reale.
Questa lunga immersione dentro un io sepolto che Koterski ci fa seguire, alla fine ci lascia spossati e pieni di interrogativi.

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