CIELO E TERRA-"Impostor", un futuro plausibile

"Se, grazie alla tecnologia, possiamo alterare delle componenti fondamentali della realtà, allora cos'é la realtà?"

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Ha molte carte in regola per diventare un B-movie di culto la pellicola diretta da Gary Fleder ("Cosa fare a Denver quando sei morto", "Don't say a word").
"Impostor", tratto da un racconto di Philip K. Dick (già ispiratore di "Blade Runner" e a breve sugli schermi con "Minority Report"), è un thriller psicologico dove la storia (uno scienziato accusato di essere una spia degli alieni) cede il passo per originalità e potenza evocativa al contesto e allo scenario in cui si svolge.
Siamo nel 2079, un futuro prossimo che vede realizzati i nostri piccoli sogni tecnologici che oggi coltiviamo in nuce: le case automatizzate, i prodigi della (fanta)scienza medica, videotelefoni e palmari a volontà. Il lato dark di tutto questo, grazie al quale Dick si è meritato l'appellativo di padre del cyberpunk, è che l'high-tech ha sottratto considerevoli spazi alla nostra "umanità". Ogni cittadino reca nel midollo spinale un codice sim, del tipo di quelli che oggi inseriamo nei nostri cani per schedarli e rintracciarli. Gli schermi sono ovunque e il flusso di notizie che vi scorre funge da maschera dietro cui si cela l'occhio della security. La stessa sede della security è in realtà quella Oakley, la società che produce occhiali dal design futuristico. E tutto questo sotto un cielo precluso allo sguardo da cupole di campi elettromagnetici per difendersi dagli attacchi alieni (sostanzialmente un deja vu da "Atto di Forza", anch'esso tratto da Dick).
Un futuro plausibile dunque (costruito dai tipi della Industrial Light & Magic), dentro il quale convivono armoniosamente l'archetipo del Grande Fratello orwelliano e gli stereotipi post-apocalittici.
In questo mondo il principio di realtà non è semplicemente discusso o alterato (posizione modernista) ma manomesso e di fatto aggirato ("geneticamente modificato", per dirla con un lessico post-moderno). La verità su se stessi non la dà la fede nel trascendente, ma neanche il mero dato esperienziale di tipo sensorio-percettivo. Infatti il protagonista (Gary Sinise) cerca consensi sulla propria identità non nella sfera degli affetti (come accadeva in "Sommersby"), ma nel risultato di un esame medico condotto con lo scanner (!). Il tema perenne del dubbio interiore trova qui affiancata alla consueta componente psicologica anche una tecnologica.
Afferma il regista: "Se, grazie alla tecnologia, possiamo alterare delle componenti fondamentali della realtà, allora cos'é la realtà?"

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