CINEMA. 1a Festa Internazionale di Roma -"Kurt Cobain About a Son", di AJ Schnack (Extra)

Cambiano le immagini lentamente, come un'alba che lasci pian piano che il sole si accenda. Paesaggi e volti. Musica, ma mai quella dei Nirvana. E Kurt non arriva mai. Solo la sua voce, continua a fondersi con le nuvole e il tempo

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Viaggio alla ricerca di un uomo come tanti. Uomini e luoghi che si appartengono. Strade affollate o deserte passate in rassegna dall'alto. E' sera. E' l'alba. Il movimento continua e le nuvole si danno appuntamento  all'orizzonte, in fila per due, ordinatamente accostate per tinteggiare un cielo rossastro, che predice un futuro sereno. I tetti delle case sono lì, anche loro ad ascoltare un silenzio che copre, tutto. Poi si ricomincia, si aprono gli occhi per cercare, chiedersi chi è lì, nello specchio.


Le parole di Kurt Cobain vengono fuori da chissà dove. C'è lui e l'uomo che lo intervista. C'è lui, che si racconta, senza sosta. Nella macchina di papa' ad ascoltare la traccia n.8 del disco dei Queen. Volume più alto, mentre i tronchi seguono i loro già tracciati percorsi, da perfida catena di montaggio. La convinzione di essere un alieno, di essere depresso, già a dieci anni. Poi la musica e la scoliosi, Tracy e Olympia, il mal di pancia e la droga. Flash di vita raccolta, personale, nascosta. Uscire di casa e andare alle feste, poi chiudere la porta dietro di sé e rimanere soli, a meditare senza pensare. Trovare il giusto equilibrio nel rapporto con gli altri, con lei, con gli amici, sperando di dimenticare di aver avuto bisogno, in passato, di calore. Voglia di sfondare sul palco, di viaggiare con gli strumenti in tour. Voglia di sorprendere, di stupire, di ridere.


Al posto suo poteva esserci chiunque altro, con quella vita e quel successo. Lui e suo padre, come un asiatico con suo figlio, stesso legame. Riflessioni che finiscono per estendere il loro raggio d'azione. Escono dalla finestra e osservano il mondo attorno, lo fanno proprio, lo subiscono. Difficile percepire il senso del proprio vagare, dell'essere in vita, dello spostarsi di città in città. Un'altra donna, una figlia, miracolo incomprensibile e grandioso.


Cambiano le immagini lentamente, come un'alba che lasci pian piano che il sole si accenda. Paesaggi e volti. Musica, ma mai quella dei Nirvana. E Kurt non arriva mai. Solo la sua voce, continua a fondersi con le nuvole e il tempo. A volte il bianco e nero stacca. Foto, attimi, concerti. Il documentario di Schnack, nella sezione Extra della Festa del Cinema di Roma, non vuole essere una biografia classica, non è neppure una biografia. È una raccolta di dichiarazioni intime, dall'ironico fondo alla Cobain. Sono frasi, parole, sono l'uomo, non la star del grunge. Ritagli recuperati da 25 ore di chiacchierate con Michael Azerrad. Per arrivare a lui, su un finale anch'esso fotografico, che per un attimo lo ritrae, capelli al vento, leader della band.

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E le immagini si impregnano della stessa materia, leggera, della voce, dei pensieri. Meduse sospinte dalla corrente in trasparenza.

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