CINEMA. 1a Festa Internazionale di Roma – "Nightmare Detective" di Shinya Tsukamoto (Cinema 2006)

Nel cinema di Tsukamoto l'immagine non sembra mai bastare a contenere il magma pulsionale della materia. Tutto deborda attraverso i sensi, sfocia in una convergenza di luci e rumori organici che danno nuovo vigore e identità al corpo-film

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Il pugno è arrivato. Ce lo aspettavamo e siamo contenti. Il Cinema approda anche dalle parti di Roma. E' Shinya Tsukamoto l'artefice del miracolo. Il suo Nightmare Detective spazza di colpo tutti i film(etti) visti finora – Iosseliani a parte – e toglie qualsiasi dubbio sulla grandezza dell'autore nipponico. Omicidi/suicidi dentro una realtà/sogno. La detective Keiko deve risolvere il caso di una serie di morti agghiaccianti e chiede aiuto a uno strano giovane, conosciuto come 'Nightmare detective', che ha la capacità di leggere la mente delle persone ed entrare nei loro sogni.

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Tsukamoto si conferma mirabile demiurgo di nuovi spazi e nuovi corpi, cantore antonioniano di una metropoli che è sempre più organismo in divenire. Nel suo cinema l'immagine non sembra mai bastare a contenere il magma pulsionale della materia. Tutto deborda attraverso i sensi, sfocia in una convergenza di luci e rumori organici che danno nuovo vigore e identità al corpo-film. Ma c'è anche speranza nell'ultima fatica del cineasta nipponico, o quanto meno una maturità intimista, una partecipazione emotiva che erano già emerse nello splendido A snake of june e che, di ritorno, arricchiscono la complessità postmoderna che un film come Tokyo Fist indagava con mostruosa lungimiranza. Lo scontro fisico della 'nuova carne' non approda più soltanto a una incomunicabilità alienante, ma si fa indagine per una conoscenza del sé, terreno comune con cui entrare in simbiosi con l'altro. Il genere horror travalica i confini della norma per farsi esperienza collettiva, analisi di un rimosso generazionale e di un dolore universale che avvicina molto Nightmare Detective all'ultimo preziosissimo Kurosawa. Discorso a parte meriterebbe lo strabiliante epilogo: duello western nei meandri onirici, dove il sangue si mescola ai ricordi d'infanzia, Satie all'incubo urlato, il desiderio di vita e di morte stretti in un abbraccio sublime. Chapeau. Il Cinema respira. E non è un sogno.

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