CINEMA – 1a Festa Internazionale di Roma – "The Go Master", di Tian Zhuangzhuang (Cinema 2006)

In competizione al festival romano un composito affresco che racconta la vita di un giocatore di Go, esempio della difficoltà del vivere una vita che anela alla conoscenza del reale, ma che deve inevitabilmente scontrarsi con le difficoltà offerte da un ventesimo secolo sferzato dalla guerra e dai difficili rapporti tra Cina e Giappone.

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Già regista di Springtime in a small town (2002), presentato alla 59a Mostra di Venezia e remake di un classico cinese del dopoguerra, Tian Zhuangzhuang si ripresenta al pubblico con questo The Go Master (in originale Wu Qingyuan), composito lungometraggio a metà strada tra storia, biografia e racconto di formazione. Vi si narra la vera vita di Wu Qingyuan (conosciuto in Giappone anche come Go Seigen), maestro del Go, un antichissimo gioco da tavolo cinese (ma diffuso anche in altre zone dell'Asia) vagamente assimilabile agli scacchi. La vita di Wu attraversa un turbinare di situazioni che restituiscono la difficoltà del vivere in un ventesimo secolo sferzato dalla guerra e dai difficili rapporti tra Cina e Giappone: sebbene nato nel più popoloso paese del mondo, infatti, Wu si trasferisce nell'Arcipelago all'età di 12 anni per perfezionare il suo studio del Go, e rimane così coinvolto negli orrori della Seconda Guerra Mondiale, che si intrecciano inevitabilmente alla sua situazione personale e professionale. Ciò che inizialmente colpisce del lavoro di Tian è proprio la vicinanza di elementi opposti, capaci di riflettere la complessità del reale, seppur partendo da un punto di vista codificato in maniera geometrica e visivamente reso dalla perfetta regolarità dei meccanismi del Go.

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Il gioco, infatti, non interessa al regista in quanto tale, le sue regole e i suoi tempi non vengono neppure spiegati, presupponendo la loro conoscenza da parte dello spettatore: piuttosto è la sua filosofia a essere considerata, il suo anelare a una perfezione mistica che si ritrova nelle linee stesse del tavolo e che eleva i contendenti a figure ascetiche, la cui vita è protesa a comprendere la verità insita nel complesso meccanismo della vita. Infatti l'ascesa di Wu Qingyuan all'empireo dei campioni si accompagna anche a un bisogno di fede che si scontra regolarmente con il caos nel quale si ritrova a precipitare il mondo: costretto in una situazione che lo pone come straniero in una terra che pure lo ammira e lo ricerca per le sue capacità, diviso fra una salute cagionevole e una notevole capacità di concentrazione che gli permette di arrivare ai più alti livelli della sua disciplina, Wu fa proprio il principio insegnatogli dal suo maestro, del gioco come paradigma di una appartenenza totale a un mondo senza barricate. Anche per questo la sua vicinanza a una setta religiosa è inevitabilmente destinata a naufragare, per la limitazione insita in una visione particolare e riconducibile al carisma di un singolo leader. Il punto di vista è inevitabilmente reso in un'ottica soggettiva, che è contemporaneamente quella di Wu e del Go stesso e spinge i protagonisti a ricercare una calma mai scossa dal caos: paradigmatica in questo senso è la scena in cui Hiroshima subisce il bombardamento atomico, mostrata agli spettatori attraverso l'onda d'urto che colpisce una sala di Go, dove i giocatori riprendono subito dopo ad affrontarsi come se nulla fosse accaduto.

Il regista tenta di costruire questo complesso mosaico innanzitutto attraverso la geometricità offerta dal formato Cinemascope, capace di esaltare tanto la ritualistica che accompagna il Go, quanto la bellezza dei paesaggi offerti da un Giappone indagato nei suoi scorci meno usuali, più vicini a un'idea di natura incontaminata; a questi elementi si contrappongono poi altri momenti in cui il suono esplode, i movimenti di macchina diventano più concitati e i personaggi sono aggrediti dalla difficoltà della guerra, dal dover razionare il cibo e sopravvivere ai bombardamenti. Intrigante in tutto questo il rapporto che lega Wu alla moglie Kazuko, compagna dediziosa ma discreta, capace anch'essa di ossequiare la vita ordinata di un individuo apparentemente imperturbabile, ma diviso tra sentimenti profondi e complessi. La narrazione, comunquue, sebbene certamente lineare appare a volte ellittica e sfuggente, e il proposito "geometrico" tende a tratti a capovolgersi di segno e a rendere il film anche raggelato e didascalico (si vedano le continue citazioni dal diario di Wu), restituendo un'idea di cinema forse eccessivamente centripeta, anche se fortunatamente non compiaciuta. Non a caso, a restare maggiormente impressi non sono i momenti ascetici né tantomeno quelli che vedono i personaggi assediati dall'orrore della guerra, ma quelli che coinvolgono i sentimenti personali di Wu e lo mostrano, uomo tra gli uomini, struggersi per il dolore di una perdita o capace di abbracciare Kazuko dopo averla ritrovata.

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