CINEMA. 1a Festa Internazionale di Roma – 'Tre donne morali' di Marcello Garofalo (Extra)
E' un film da ascoltare Tre donne morali. Quasi tutto fatto di parole, confessioni, citazioni 'alte' (Pasolini, Borges, Dante), dichiarazioni e provocazioni etiche rese con distacco, senza mai cadere nella facile retorica del manifesto politico. Politico è semmai il modo con cui Garofalo racconta le donne del suo film, come ne celebra lo spessore umano
Sedute davanti alla videocamera ai piedi di un proscenio teatrale, tre donne si raccontano, rispondono a domande, ne pongono loro stesse. Donne colte, libere, contraddittorie, geniali. Donne d'altri tempi. Una insegnante austera, vitale, mordace, foriera di una sensibilità etica imprescindibile, ma laconicamente priva di illusioni sulle ideologie rivoluzionarie ("Purtroppo siamo liberi solo quando obbediamo" dice a un certo punto.) Una ex suora, di nome Vallifuoco, che possiede un cineclub, vede nel cinema il perfetto legame tra sacro e profano, e la sera programma sempre due film profondamente diversi "perché è dall'abbinamento delle due opere che nasce il 3° senso". E poi una pittrice napoletana naif, amante del bello velato e delle forme, che parla delle sue modelle femminili con affetto e critico distacco a un tempo.
E' un film soprattutto da ascoltare Tre donne morali di Marcello Garofalo. Quasi tutto fatto di parole, confessioni, citazioni 'alte' (Pasolini, Borges, Dante), dichiarazioni e provocazioni etiche rese con distacco, senza mai cadere nella facile retorica del manifesto politico. Politico è semmai il modo con cui Garofalo racconta le donne del suo film, per come ne celebra lo spessore umano facendole parlare davanti a una telecamera digitale mai invadente, per come privilegia le idee ai corpi. Tre donne morali prova, così, a recuperare una memoria storica e culturale (non solo italiana) fondata sul pensiero critico e libertario e si identifica come opera sovversiva nella misura in cui celebra il 'pensiero' e l'amore per l'arte tutta, contrapponendosi all'omologazione del gusto, alla volgarità mediatica dilagante.
Certo è che proprio tutti questi elementi rischiano di dare all'intera operazione un'intenzionalità quasi nociva, proprio perché figlia di un controllo autoriale predeterminato. La stessa idea di far interpretare i personaggi da attrici professioniste (peraltro tutte bravissime) lascia intravedere un'ambiguità concettuale da 'documentario di fantasia' che rafforza la presenza di una costruzione aprioristica più ingombrante di quanto possa sembrare in superficie. Ma Garofalo è più interessato al gesto etico, decisamente rimarchevole, che alla spontaneità del prodotto. Ed è quanto basta per accogliere il suo primo lungometraggio con passione.