CINEMA. Festa Internazionale di Roma 2007 – "Forbidden Lies", di Anna Broinowski

Documentario che mostra le mille prospettive di una vicenda: Norma Khouri ha scritto un libro ispirato ad una storia che forse è vera e forse è falsa. O forse è tutte e due le cose insieme. Ad Anna Broinowski non resta che rinunciare alla coerenza dei fatti, e sposare piuttosto la causa dell'ambiguità. Quando tutti sembrano mentire, il documentario non può prendere posizione. Nell'impossibile impresa di segnare il confine tra realtà e finzione, Forbidden Lies rende onore alla sua natura di film-documento.

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In una delle inquadrature finali di questo bel documentario di Anna Broinowski, si vede il volto della protagonista Norma mentre viene riflesso da numerosi specchi, fornendo una facile metafora alla visione di Forbbidden Lies. Innanzitutto, è uno stereotipo del noir, ma in qualche modo è anche la palese ammissione dell'impotenza di uno sguardo, quello della stessa regista, che non ha mai voluto centrare il suo obbiettivo. Il suo pregio, e quello del film, è infatti di aver rinunciato a priori all’esigenza di mettere a fuoco una sola prospettiva del fatto, di aver lasciato che il documentario esplodesse da solo, aprendo nuovi dubbi piuttosto che chiarire quelli lasciati in sospeso.
L’indagine della Broinowski parte dall’autrice di Forbidden Love, best-seller sul delitto d’onore compiuto ai danni di una giovane giordana: la ragazza si era innamorata di un cattolico, e il padre musulmano l’ha accoltellata a morte. Il libro è diventato un caso editoriale, smuovendo persino dibattiti sui diritti civili delle donne musulmane, fino a quando delle attiviste di Amman non hanno scoperto che gran parte dei dettagli è stata inventata di sana pianta.
Il fascino di Forbidden Lies nasce proprio da questo paradosso, quello di una storia vera che improvvisamente si trasforma in fiction, e quello di una protagonista reale (la scrittrice Norma Khouri, autrice del bestseller incriminato) che si comporta come il clichè cinematografico della dark lady. Cercando di fare luce sulla vicenda narrata, cioè se l’omicidio sia avvenuto realmente o sia solo il prodotto di un’invenzione letteraria, la Broinowski si trova a confrontarsi con un personaggio che le sfugge completamente: non si riesce mai a capire del tutto se la donna sia un’eroina, una martire, un'approfittatrice che continua a mentire contro ogni evidenza, oppure sia solo una banale ladra. Da un certo punto in poi, infatti, il film prende persino i connotati di un serrato legal thriller, oscillando senza sosta tra la ricerca sociale (il viaggio in Giordania), l’analisi psicologica (i motivi, nobili o squallidi, che l'hanno portata a scrivere il libro), e la ricostruzione oggettiva dei fatti.
Il tentativo di riorganizzare i vari indizi in un quadro credibile diventa quasi subito impossibile, in questo documentario in cui tutti sembrano mentire. Per questo motivo, Forbidden Lies arriva presto a mettere persino in dubbio la funzionalità stessa dell’operazione, arrivando al nocciolo ontologico della necessità del documentario.

Alla regista non resta altro da fare che rinunciare alla coerenza di un percorso stabilito, e adeguarsi alle innumerevoli visuali offerte dai dati concreti, adottando stili diversi per ogni contesto. Il suo atteggiamento verso Norma è quello di un avvocato difensore che sa che il suo personaggio è colpevole: nello stesso tempo accusatorio e compassionevole. Nell'ammettere l'impossibilità di segnare il confine tra realtà e finzione, tra buonafede e menzogna, Forbidden Lies rende pienamente onore alla sua natura di film-documento.

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