CINEMA. Festa Internazionale di Roma 2007 – "Le pere di Adamo", di Guido Chiesa (Extra)

Le Pere di Adamo è l'ennesima deviazione nel documentario del polivalente Guido Chiesa. Inno poetico all'imprevidibilità delle cose: nella metereologia, nell'esperienza scientifica, nella vita. Il film-maker torinese adotta una stile libero e vario, aperto alle associazioni. Purtroppo, non ha il coraggio di andare fino in fondo.

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Guido Chiesa è un caso a parte nel panorama cinematografico italiano, una personalità decisamente eclettica, polivalente, addirittura più a suo agio con le forme del documentario che in quelle del lungometraggio, molto più ambite dagli autori nazionali.
Le pere di Adamo ha la strana qualità di non avere alcuna tesi da sostenere, se non quella di dimostrare l’inutilità di averne una. All’apparenza, potrebbe sembrare un omaggio, e un’adesione ideologica, al movimento francese degli intermittenti dello spettacolo, che nel 2002 bloccarono con uno sciopero per i loro diritti l’intera stagione teatrale. La simpatia che Chiesa nutre verso di loro è certamente innegabile, ma il suo interesse verte più ad indagare il loro status di transitorietà, sia sociale (il lavoro precario) che umana (la loro attività di artisti). Perchè Le pere di Adamo è principalmente un film sul movimento, nella sua accezione più estesa, e per questo l'attualità viene messa in parallelo (un parallelo coraggioso e insieme poetico) con la vita delle nuvole, oggetti in moto perpetuo. Il secondo piano su cui si svolge il film di Chiesa sono le interviste a Luca Mercalli, noto metereologo mosso nei suoi studi più dall’amore per l’oggetto delle sue attenzioni (il tempo e le sue variazioni improvvise) che non per la possibilità di definirlo scientificamente e prevederlo. Convinto assertore del caos deterministico, lo scienziato non crede nella possibilità di stabilire dove andranno le nuvole e come si comporteranno. Ben lontano dalla rassegnazione, Mercalli si limita ad ammirarle stupefatto, senza avere la più pallida idea di dove vadano.
Lo stile di Chiesa sposa perfettamente lo spirito delle intenzioni: la sua struttura è infatti libera, volutamente non-lineare, dal ritmo sempre spezzato tra interviste, scorci naturalistici, effetti stranianti, immagini di repertorio e cronaca spicciola, decisamente versatile.

Si avverte però un grande rammarico: il film-maker piemontese non si fida del tutto della comprensibilità delle sue associazioni sciolte, e inserisce un’approssimativa animazione (con la voce di Giuseppe Battiston) che serve da collante ai diversi piani narrativi, non lasciando lo spettatore completamente libero di elaborare le connessioni tra i significanti. Il suo uomo che ripercorre la storia del pensiero, in un corridoio pieno di ritratti di tutti i maggiori filosofi occidentali, e della scienza, sentenziandone il fallimento, è una piccola ma ingombrante invasione della razionalità in un percorso che forse sarebbe stato meglio lasciare slegato, abbandonato al gioco di un montaggio che crea legami tra cose apparentemente lontane.
Proprio perchè il suo film è un gioioso inno all’imprevedibilità delle cose, forza produttiva sia nell’ambito della vita (le nuvole, l’arte), che in quella dei cambiamenti sociali, spinta che si inserisce sottilmente anche nei sistemi più costretti e definiti, sarebbe stato bello vedere un regista in possesso di tutto il coraggio necessario a spezzare ogni tipo di vincolo.

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