CINEMA. Festa Internazionale di Roma. "Zero. Investigation 9/11", di Franco Fracassi e Francesco Trento (Extra)

L'ennesimo documentario cospirazionista sul big crash del 11/9 porta inevitabilmente con sé il problema dell'inflazione dell'immagine e ci interroga sulla possibilità di uno sguardo che sia ancora eticamente esplosivo. Malgrado gli sforzi degli autori assistiamo alla progressiva depotenziazione della materia visiva, 6 anni dopo ormai irrimediabilmente innocua, catturata dal discorso ovattato e ovattante dei media.

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Nel nome c'ha il dove ed il quando, nasce dalle ricerche di Giulietto Chiesa, è un dettagliato e dietrologico documentario sull'attentato newyorkese – sulle sue verità ufficiali e su tutto il resto – affidato alla regia dei documentaristi Francesco Trento e Franco Fracassi. Il lavoro rappresenta, in realtà, la seconda parte di un'inchiesta multimediale che nello scorso agosto ha già condotto ad un libro dal titolo omonimo curato dallo stesso Chiesa e da Roberto Vignoli. Il film segnala in questo senso un escalation dell'operazione propagandistica, una nuove fase della campagna smascheratrice che sfrutta a questo punto la forza spettacolare dell'immagine ed il carisma persuasivo di un buon numero di facce note e amiche: Moni Ovadia, Lella Costa e Dario Fo (che ritroviamo, con qualche turbamento, davanti ad una lavagnetta scarabocchiata ad illustrare alcune complicatissime teorie termodinamiche alla base dei crolli) sono le principali voci narranti di un racconto che nella sua genuina foga demistificatoria sovrappone caoticamente testimonianze, dati, effetti grafici.
Ma al di là dei limiti strutturali del prodotto, l'ennesimo documentario cospirazionista sul big crash del 11/9 porta inevitabilmente con sé il problema dell'inflazione dell'immagine
,
dell'esaurirsi della sua carica informativa, ci interroga sulla possibilità di uno sguardo che sia ancora eticamente esplosivo.
Malgrado gli sforzi degli autori – che ce la mettono tutta davvero, e vogliono aprirci gli occhi, ficcarci dentro la loro verità – assistiamo alla progressiva, inarrestabile, depotenziazione della materia visiva, 6 anni dopo ormai irrimediabilmente innocua, catturata dal discorso ovattato e ovattante dei media.
A nulla serve il disperato tentativo operato dai registi di sottrarsi qui e lì al solito ripescaggio antologico dal grande serbatoio dell'immaginario collettivo – le solite scene, solite facce, solite fiamme – per reinventarsi un 11 settembre visivamente originale, ricorrendo ad un po' d'animazione ed a qualche effetto in 2d e 3d. 
E nemmeno la consapevolezza con cui il documentario prova, specie in fase di montaggio, a
raccontare
il tam tam mediatico, a guardarlo dall'esterno ed a sfruttarne il discorso, riesce sfortunatamente a salvarlo dall'automatica fagocitazione da parte di quella stessa gigantesca bocca globale. Una bocca che mastica e frantuma ogni denso tentativo di riflessione, lo appiattisce, facendone semplice pezzo di un unico, smisurato, puzzle spettacolare.

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