Cinema Svizzero a Venezia 2019 – Genesis 2.0, di Christian Frei

Genesis 2.0 di Christian Frei è un film sulla creazione e il ruolo che l’uomo gioca in essa. La resurrezione di un mammut è la manifestazione della prossima grande rivoluzione tecnologica in atto

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Broad-shouldered you are!

But stupid you are.

Stout enough you arebut light-minded you are.

Fatuous and boasting you are!

Olonkho – Eles Bootur, racconto epico della Jacuzia

 

Il prezzo dell’avorio non è mai stato così alto. Ogni anno un gruppo di cacciatori di mammut affronta un viaggio verso le desolate isole della Nuova Siberia, margine estremo della Russia, per estrarre, dopo un minuzioso lavoro di ricerca e scavo, le zanne sepolte nel permafrost, appartenute all’illustre antenato dell’elefante, e sopperire alle crescenti richieste del mercato. Una zona completamente disabitata, priva di rotte stabilite, raggiunta durante il periodo del disgelo a bordo di piccole imbarcazioni, piene di suppellettili, ammennicoli e materiali indispensabili alla sopravvivenza. Lo stato di necessità porta questi uomini ad attraversare 350 km di mar Glaciale Artico ed approdare, evitata una burrasca, in un territorio incontaminato ed ostile. Lasciandosi alle spalle gli affetti ed il calore dei familiari, con la premura di provvedere alla loro sussistenza.

Genesis 2.0 di Christian Frei rivolge lo sguardo ad orizzonti sterminati, irriferibili, apocalittici, antichi. Dove il tempo trova un senso in profondità, mentre la superficie è la porta dell’eterno, in perpetuo identico divenire. Dove le tombe degli animali estinti vengono profanate con il timore di una maledizione, ed il sacrilegio viene punito con la morte, la riesumazione degli spiriti dormienti è proibito, a costo della vita.

La battuta di ricerca degli autoctoni, condotta esplorando il terreno palmo a palmo, succede possa imbattersi a volte nei resti di carcasse crioconservate, con pelliccia, tessuto muscolare e sangue liquido. Ed in quel momento entrano in campo interessi ben al di là del semplice commercio, che coinvolgono aziende high tech nel campo genetico in grado di utilizzare un piccolo campione di Dna per clonare un essere vivente. L’indagine documentaria del regista si sposta, alternando profumo preistorico e contemporaneo, dall’esterno desolato, all’interno di modernissimi laboratori russi e coreani all’avanguardia negli studi di biologia molecolare, pieni di scienziati privi del timore reverenziale di vendette soprannaturali, che rivolgono i loro ossequi ad altari di altra tipologia. Sembrano passati secoli dalle vicende della pecora Dolly, ufficialmente registrato come prima idea replicante, l’attualità racconta di successi meno eccezionali e sempre più ambiziosi. Come appunto immaginare di riportare alla luce un mammut superando il confine che divide la vita dalla morte, elevando l’uomo alla stregua di un Dio.

Ma l’interrogativo etico non si riduce al potenziale deflagrante di una possibile applicazione umana, probabilmente già silenziosamente in atto, che da una programmazione somatica embrionale arriva alla resurrezione. Le due visioni messe a confronto sono espressioni di vita agli antipodi che ruotano attorno a valori contrapposti, l’urgenza di provvedere al quotidiano vs il lusso di disfarsene per rivolgersi al futuro. Un dislivello sottolineato in contrasto dalle paure, dai sogni, dalle superstizioni, i riti e gli esorcismi esposti da mondi separati da un abisso. Nei quali la distribuzione di valore di un reperto cresce in riferimento alla classe sociale, e l’oggetto che viene stimato poco nelle mani di un povero acquista importanza in quelle di un ricco.

Genesis 2.0 accosta queste realtà con qualche intervista dentro un approccio osservazionale, si limita alla registrazione obiettiva per lasciare al montaggio la costruzione di uno schema di senso compiuto che affronta questioni spinose della contemporaneità, passando dal remoto della memoria sepolta all’utopia di esseri viventi resuscitati da particelle infinitesimali.

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