Cinema Svizzero Contemporaneo – MADAME, di Stéphane Riethauser

Film diario, la bella storia della lotta di una nonna femminista e del nipote per liberarsi dalle norme di genere cui siamo sottoposti. Dalla rassegna di cinema svizzero della Cineteca di Milano

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Dopo il successo ottenuto alla scorsa edizione di Visions du Réel, dov’era stato presentato nella sezione Burning Lights, al festival del documentario di Madrid ed al festival di Locarno, Madame, di Stéphane Riethauser arriva a Milano, nell’ambito della rassegna dedicata al cinema svizzero contemporaneo ospitata dalla Cineteca di Milano, comodamente raggiungibile dalle nostre camerette.

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Studioso, attivista gay, reporter e filmaker ginevrino, il regista dà voce ad un flusso di coscienza, a un vero journal intime, mettendo in scena una conversazione sentimentale a due che racconta di un grande amore, quello di una nonna – la ‘madame’ del titolo – e del suo adorato nipote. Un’autobiografia per immagini semplice, onesta e ironica, che punta tutto sulla forza dell’esperienza reale vissuta in prima persona e su un inestimabile patrimonio di foto e filmati domestici archiviati dalla famiglia Riethauser. Una saga familiare borghese che mira a decostruirne dall’interno le basi, pezzo per pezzo. La mater familias, perfetta ed elegante, è l’inaspettata e progressista confidente di Stéphane, la spalla che lo accompagna in una non facile educazione e presa di coscienza personale e sessuale.

Proprio la scorsa domenica si è celebrata la giornata mondiale contro l’omotransfobia a ricordarci che non è facile essere omosessuali in questo mondo, come del resto non è facile essere donne, constantemente sottopost* a stereotipi e regole più o meno esplicite. Occorre lottare insieme per liberarsi dai vincoli, dapprima con noi stessi, con le nostre famiglie ed il nostro ambiente di riferimento. Lottare come fece sua nonna, di origine italiana e trapiantata a Ginevra agli inizi del XX secolo, che osò divorziare dal marito, lavorare e conquistarsi una vita tutta per sé, e non solo una piccola stanza a cui si sognava di aspirare un tempo. Eppure Riethauser, nato qualche generazione dopo da famiglia benestante, conservatrice, militarista e sessista, ci racconta le estreme difficoltà vissute, come molti al suo posto, nel giungere al coming out, e del suo essersi adattato a lungo al ruolo che il genere biologico sembrava avergli affidato. «Ho vissuto nella paura di non essere un uomo. Ho sofferto di non poter di essere me stesso. Ho condotto una doppia vita», afferma, raccontando di aver vestito alla perfezione i panni del personaggio ultra-virile, destroide, militarista e omofobo che la società si aspettava da uno come lui, «pensavo che il mio discorso dovesse contenere la prova che non ero gay. I ragazzi costruiscono la loro identità maschile contro l’identità femminile e contro quella degli omosessuali». Solo in un secondo tempo, fuori dalla terra d’origine, negli Stati Uniti, è riuscito finalmente a lasciarsi alle spalle maschere e costrizioni e ad essere finalmnete quello che la vigile madame aveva già colto: «sei nato così. Sei come Jean Cocteau e Jean Marais, come Yves Saint Laurent e Pierre Berger, come il mio prete e il mio banchiere», sé stesso.

Un’opera intima dal facile linguaggio divulgativo, forse un po’ troppo ancorata ad alcuni stilemi eccessivamente dicotomici e manichei che sembrano escludere tutto ciò che vi transita in mezzo, eppur d’impatto. L’autore non nasconde il suo intento, partire dal privato per giungere al pubblico; uno spirito quasi pedagogico se vogliamo, di restituire la propria esperienza agli altri, prestandosi come modello, exemplum.

Siamo davanti a un piccolo film manifesto, il manifesto di orgoglio di tutte le personalità queer e delle donne che lottano, hanno lottato o che lo faranno. E questo senza dubbio è il suo più grande pregio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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