CINEMAFRICA – Meurtre à Pacot, di Raoul Peck: Un paese per cani e bulldozer

Presentato al FCAAAL di Milano, dopo essere passato per Toronto e Berlino, il film del regista haitiano è stato trasmesso su ARTE (Sky 492) lo scorso 25 giugno. A cura di www.cinemafrica.org

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di Leonardo De Franceschi

In occasione della trasmissione in prima tv su ARTE (Sky 492), giovedì 25 giugno alle 22h45, rispolveriamo la nostra recensione di Meurtre à Pacot da Milano, rimasta inopinatamente inedita.

 

Presentato in concorso nella sezione principale “Finestre sul mondo”, Meurtre à Pacot arriva al pubblico di Milano del FCAAAL dopo essere passato per Toronto e Berlino. Il regista afrohaitiano Raoul Peck è una presenza consueta per il festival ed è tanto più importante ritrovare in questa edizione del venticinquennale un film come questo che testimonia tutta la vitalità e la necessità politica del suo cinema, di cui ricordiamo almeno Lumumba (2000), il biopic che ha presentato al mondo il profilo del grande leader congolese, Sometimes in April (2005), che rimane forse il film più misurato e toccante sul genocidio ruandese, e Moloch Tropical (2009), ritratto di un dittatore haitiano al crepuscolo. Peck ha sempre raccontato storie di uomini e donne in lotta contro il potere e attraversati foucaultianamente da una serie di discorsi e rapporti di forze che rischiano di incatenarli a un destino di subalternità e questo film non fa eccezione, confermando la vena dell’apologo parateatrale che già era emersa nel fiammeggiante Moloch Tropical.

 

meurtre à pacotSiamo in una zona periferica e residenziale di Port au Prince nel terribile dopo-terremoto del gennaio 2010. In nove giorni un quartetto di personaggi (più due) si incontrano, si studiano, si desiderano, si vendono, si comprano, si detestano, si massacrano, si rialleano, per salvare la pelle e farla franca, come sempre, alle spese di una vittima designata. Meurtre à Pacot non ha una costruzione drammaturgica da thriller ma sarebbe poco utile rivelarvi nome e cognome di chi finisce assassinato nel film. Meurtre galleggia in un’atmosfera di morte che ammorba tutto e tutti, nonostante gli alberi che circondano quello che resta di una villetta devastata dal terremoto ma rimasta in piedi malgrado le profonde crepe e le numerose scosse di assestamento che continuano a rendere la ripresa di una vita normale semplicemente impossibile. La casa è di proprietà di una coppia altoborghese che il terremoto ha messo sul lastrico da un giorno all’altro: lui (Alex Descas) è un uomo non più giovane, con vari interessi commerciali, consumato dai compromessi e dalla percezione della catastrofe inevitabile; lei (Joy Olasunmibo Ogunmakin) è una trentenne con studi in Europa, di buona famiglia, non abituata ai lavori manuali e alle ristrettezze.

 

meurtre à pacotIl terremoto ha portato loro via il piccolo Joel, un bambino povero adottato soprattutto per volere della donna, ma si capirà solo più avanti che il corpicino è ancora intrappolato nelle macerie della sua stanza e solo Joseph, il tuttofare che li aiutava in casa, si impegna vanamente almeno per assicuragli una sepoltura decente. La casa, benché malridotta, è tutto ciò che rimane loro e lui pensa bene di affittarla a un operatore di un ONG francese, Alex (Thibault Vinçon), mentre loro si sistemano alla meglio nell’ex dependance e Alex si porta dietro Andrémise detta Jennifer (Lovely Kermonde Fifi), una ragazza originaria del sud che cerca di sopravvivere come può nello sfacelo generale. Il menage coatto parte tra mille tensioni malcelate, che si rivelano soprattutto durante gli “a parte” negli spazi privati, e di notte: l’uomo ha un’attrazione manifesta per Jennifer, mentre malsopporta ansie e rimproveri della moglie; Jennifer comincia ben presto a organizzare feste e a portarsi in villa un amico nonostante la notte dimostri di apprezzare le attenzioni di Alex, mentre il giovane si assenta di tanto in tanto riempiendola di foto-trofei di bambini sorridenti con bottiglie di acqua che riportano il logo della sua ONG; la moglie tenta a fatica di costruirsi una routine fatta di gesti semplici (il recupero dell’acqua da una piscina, le pulizie, la preparazione dei pasti) ma sente mordere la coscienza per la morte del piccolo e l’orgoglio per la lontananza crescente del marito e allora finisce suo malgrado per cercare una complicità proprio in Jennifer.

 

meurtre à pacotAssistito da Pascal Bonitzer e Lionel Trouillot, Peck tesse una ragnatela densa di fili, che tengono insieme rapporti di classe, di genere, di “razza”, senza allontanarsi dall’huis clos della villa, sempre più segnata dalle crepe e a rischio di abbattimento da parte dell’amministrazione, rappresentata da un odioso funzionario di origine italiana (il cameo è di Zinedine Soualem, sontuoso protagonista di Moloch Tropical). Eppure, nonostante la gravità e densità delle dinamiche che si installano, obbligando i protagonisti a un continuo e complesso riposizionamento, in una sorte di ronde postcoloniale, la drammaturgia sembra girare in tondo e i personaggi non compiono un’evoluzione (o involuzione) sensibile, rimangono ingabbiati in una dimensione presentativa, microtipologica, all’incrocio fra queste determinazioni. La sensazione del partito preso ideologico si avverte soprattutto in alcuni passaggi dialogici che riguardano Andrémise/Jennifer, sovraccarica di un sapere politico fin troppo consapevole, che distilla sapientemente in ogni atto sotto forma di slogan. Lo slittamento costante dal politico al fenomenologico, dall’ideologia al sesso, produce interessanti cortocircuiti ma alla lunga la scansione in atti, con il lancio ripetuto di una sequenza di riapertura subito troncata dal cartello che marca l’inizio del nuovo atto, risulta meccanica e soprattutto stenta a macinare il senso di una progressione narrativa.

 

Peck si dimostra grande direttore di attori e attrici e come di consueto le due interpreti femminili emergono di gran lunga sopra tutti, grazie anche all’attenzione costante e alla cura con cui vengono impaginate dalla mdp, ma questo elemento, unitamente alla consueta forza espressiva che emerge da una messinscena a tratti espressionistica, stavolta non riesce ad innervare il racconto né la visione impietosa sulla società haitiana che naturalmente passa ma come indebolita da un doppio partito preso, sul piano formale e discorsivo.

 

Il sito di CinemAfrica

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