#CinemaRitrovato2019 – Francis Ford Coppola, “una conversazione tra studente e studenti”

Il regista di Apocalypse Now, ospite del Cinema Ritrovato, incontra tantissimi ragazzi in una masterclass che si è trasformata in un dialogo e scambio di idee

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Giusto una brevissima introduzione da parte del presidente della Cineteca di Bologna e collega Marco Bellocchio, come lui sa fare, e spazio a Francis Ford Coppola, protagonista della masterclass organizzata nell’ambito del Cinema Ritrovato e moderata da Gian Luca Farinelli e Paolo Mereghetti. La prima domanda non poteva che essere sulle origini italo-americane del regista: il nonno materno Francesco Pennino è stato uno straordinario compositore, amico di Caruso. Il padre Carmine anche lui compositore, è stato primo flauto nell’orchestra di Toscanini e premio Oscar per la colonna sonora del Padrino – Parte II insieme a Nino Rota, insomma quella dei Coppola più che una famiglia, ironizza Farinelli, sembra una factory:
La mia famiglia è italo-americana. Ho preso il nome da mio nonno Francesco, però è stata mia madre, che tra l’altro si chiamava Italia, a chiamarmi Francis perché allora c’erano molti pregiudizi nei confronti degli immigrati negli Stati Uniti. Mia madre, sul finire della seconda guerra mondiale, mi disse che ero fortunatissimo a essere americano, perché l’America è il paese più grande del mondo; mio padre invece mi ricordava le mie origini italiane, perché dall’Italia è nata una cultura straordinaria. Quindi mi sono sentito fortunato in qualità di americano e italiano. Tra l’altro nella mia famiglia c’è sempre stata l’usanza di dare il nome del padre al primo figlio: Agostino ha chiamato il primo figlio Carmine, Carmine ha chiamato il primo figlio Agostino… il nonno ha rotto questa tradizione chiamando suo figlio Archimede perché secondo lui Archimede fu la mente scientifica più grande al mondo. Questo ha fatto sì che in famiglia ci fosse una combinazione di arte e scienza, proprio come il cinema. La famiglia ha sempre cercato di vivere all’altezza di mio padre. Mio fratello maggiore era uno studente brillante, io ero un disastro; volevo diventare fisico nucleare come Enrico Fermi ma dopo diversi tentativi e fallimenti mio padre mi disse che dovevo fare qualcosa di diverso.

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Coppola riprende subito la parola, senza aspettare la prossima domanda: Quando mi è stato chiesto di venire mi hanno detto che ci sarebbero stati tanti studenti e che avrei dovuto tenere una masterclass. Vorrei però che fosse una conversazione tra studente e studenti, perché il cinema ha solo centovent’anni. Tra l’altro di recente ho visto

L’albero degli zoccoli ed è un film straordinario. Non sono un maestro, ho ottant’anni e continuo a studiare, ho ancora tanto da imparare. 

Sono tutti sorpresi, e un po’ intimoriti, così Coppola prosegue: Questa sera ho l’opportunità di parlare di cinema ma ci sono tanti campi: c’è la sceneggiatura, c’è chi si interessa degli attori e questi per me sono i due elementi essenziali come l’ossigeno e l’idrogeno per la composizione dell’acqua. Poi ovviamente ci sono altri settori. Il terzo aspetto che mi viene in mente è quello della tecnologia. Negli ultimi anni si è passati al sonoro elettronico digitale, alla possibilità di fare il montaggio delle immagini e delle fotografie in digitale, adesso ci sono i proiettori digitali. Questa transizione da un mondo meccanico a uno digitale ha cambiato molte cose. Il grosso punto interrogativo è come diventerà il cinema del futuro, cosa sarà possibile fare col cinema digitale che sarebbe stato impensabile pochi anni fa, che film saranno in grado di sviluppare i nostri figli con le nove tecnologie. Spero davvero, e mi rivolgo ai ragazzi presenti, che questi argomenti possano farvi pensare a nuove possibilità, sarebbe utile scoprire anche questa sera qualcosa che potrebbe essere utile per voi e per me.

Qual è stata l’influenza del cinema italiano sul suo cinema?
La mia generazione, sono nato nel ‘39, è vissuta tra due tendenze molto forti. Il film hollywoodiano, che era un sistema vero e proprio, lo sentivo tantissimo: andavo al cinema con la famiglia ed eravamo colpiti da tutti quei film di Wyler, Stevens, Wilder, Vidor, Huston. Poi l’altra forte tendenza era quella dei film che arrivavano da Europa, Giappone e Svezia e che dopo la seconda guerra mondiale venivano fatti in Italia, e quest’ultimi erano fantastici perché erano più personali ed interessati a studiare questioni sociali. Questo ibrido ha influenzato la mia vita come cineasta. Non basterebbero le dita delle mani e dei piedi per elencare tutti quei registi italiani che hanno raggiunto il successo internazionale: Fellini, Rossellini, Antonioni, Bellocchio, Monicelli, Germi, Bertolucci, almeno una quarantina. Tra l’altro vi consiglio di vedere il documentario Il mio viaggio in Italia di Scorsese, un viaggio nel cinema italiano davvero favoloso.

Nei suoi esordi con Terrore alla 13ª ora, cosa ha imparato da Roger Corman che ha prodotto il film?
Sono stato fortunato perché ero uno studente povero, vivevo con poco ed è per questo che sono diventato grassissimo: mangiavo maccheroni e formaggio, una schifezza americana. Sono stato fortunato, dicevo, perché sono riuscito a lavorare con Corman: in quel periodo aveva acquistato un film di fantascienza russo e mi fu chiesto se sapessi il russo; risposi “un pochino”, in realtà non lo parlavo. Così sono diventato suo assistente e ho imparato grazie a lui tutto ciò che c’è da sapere su come fare film con pochissimi soldi.

Come è stato possibile che un regista così giovane abbia potuto girare un film importante come Il padrino?
Il padrino non doveva essere un film importante. La Paramount non aveva certezze. Avevano acquistato la storia da Mario Puzo. Doveva essere un film a basso costo, inizialmente due milioni di dollari. Hanno pensato a un regista italo-americano perché avevano paura di possibili risentimenti da parte della comunità italo-americana che nel frattempo era diventata ricca e influente negli Stati Uniti. Poi volevano un regista giovane perché pensavano di fare quello che volevano; infine avevo una buona reputazione come sceneggiatore ed è in questo modo che sono diventato regista del Padrino.

Coppola ci riprova: Chi studia perché gli piacerebbe fare cinema? Mi piacerebbe discutere di domande che volete sapere.

Intanto Farinelli prosegue: Cosa pensa che diventerà il cinema?
La transizione dal meccanico al digitale ha tante implicazioni. Mia figlia Sofia sta girando adesso un film e lo sta girando su pellicola perché ama il cinema e vuole essere in un certo senso parte della sua storia. È interessante perché adesso che abbiamo questa nuova tecnologia in realtà tanti si concentrano sul vecchio sistema, quando poi comunque tutto deve essere convertito. Un po’ come l’amore per le auto d’epoca. A proposito del vecchio cinema, spesso mi si chiede quali siano i dieci film più belli che abbia mai visto, trovo che sia una domanda ridicola perché i film bellissimi sono almeno mille, duemila.

Vediamo però la sceneggiatura dove la tecnologia non è implicata. Il romanzo ad esempio si è evoluto tantissimo negli ultimi 400 anni. All’inizio abbiamo avuto Miguel de Cervantes, Manzoni che per I promessi sposi ha tratto ispirazione da Walter Scott, Goethe. Poi gli scrittori hanno iniziato a raccontare i diversi punti di vista come ha fatto Tolstoj in Anna Karenina, Flaubert, Virginia Woolf, Joyce. Tutto questo ha reso il romanzo qualcosa di molto più avventuroso e ha portato a spazi di innovazione. Il film possibile futuro che invece mi interessa è quello che chiamo live cinema, non parlo di qualcosa di simile alla televisione dal vivo. Nel cinema dal vivo potremmo avere tutte le immagini sempre in tempo reale e si potrebbero sfruttare tante tecnologie che si sono sviluppate in ambito sportivo, soprattutto del calcio. Quando accendiamo la tv, riconosciamo subito se siamo davanti a un film perché c’è qualcosa di cinematico che lo rende distinguibile. E nel digitale saranno possibili cose molto interessanti e sarà possibile fare un film che sembri tale ma che in realtà è live. Questo per dire che la tecnologia non è necessariamente il catalizzatore ma nel caso del cinema permetterà di cambiarlo e di volare, anche in senso letterale.

Finalmente i ragazzi prendono la parola: qual è il consiglio che mi può dare per trovare una mia prospettiva, per creare una nostra prospettiva?
La chiave è essere personale, siamo tutti unici e come artista sai che devi fare qualcosa di tuo e di personale, che si basa sui tuoi sentimenti. È una cosa che ho ripetuto sempre ai miei figli. Certo sono necessarie le collaborazioni, però le risorse, l’istinto e l’intuizione devono essere tuoi. Questo è difficile perché è l’istruzione che ci cancella questi istinti. Bisogna cercare, come diceva Epicuro, di cancellare tutto quello che ci insegnano la religione e l’istruzione e ritornare a essere unici.

Qual è il suo metodo di filmare la scena? E poi come trasforma l’idea in sceneggiatura?
Le migliori idee vengono da una piccola irritazione, curiosità. Di solito, quando mi succede, scrivo l’idea e la lascio su carta. Lasciandola lì però è come mettere qualcosa nel forno, nel tempo cambia, nel forno del subconscio queste idee si modificheranno e potranno portare in alcuni casi a un viaggio interessante.

Domanda di rito sui 40 anni di Apocalypse Now: perché ha sentito il bisogno di rimontare il film, dopo la versione Redux?

Apocalypse Now è stato in realtà il primo film di guerra sul Vietnam, anche se Il cacciatore è uscito prima semplicemente perché noi avevamo avuto grosse difficoltà con il montaggio. Apocalypse è un viaggio più strano e surreale di quanto avessi pensato all’inizio. La guerra è sempre strana, e allora c’era una versione della guerra un po’ East Coast, americana, mentre questa era la prima volta che la guerra del Vietnam aveva coinvolto la costa occidentale: in Vietnam ci andavano i surfisti, quelli appassionati di rock and roll e che prendevano droghe. Poi il film ha cominciato a farsi da solo, fino a risultare una cosa molto strana. Avrebbe potuto concludersi con la classica battaglia da fine della prima guerra mondiale, ma mi sembrava assurdo. Prima ancora che il film uscisse, ci furono diversi articoli che lo denigravano ed ero parecchio frustrato. A Cannes abbiamo mostrato il film non finito, col tentativo di bloccare le speculazioni della stampa ed è stata una sorpresa perché abbiamo vinto ex aequo la Palma d’oro. Dopo abbiamo cominciato a tagliare il film per renderlo più breve ed è stato un successo. Quando l’ho rivisto due, tre anni dopo non mi sembrava più così strano. Abbiamo così fatto con la Redux la versione completa, inserendo tutte le scene che a Cannes non si erano viste. Ed è stato ancora un successo, nonostante la durata maggiore – 54 minuti in più. Abbiamo infine pensato di celebrare i 40 anni del film. La prima versione per me era troppo breve, la seconda troppo lunga; con questa nuova versione, più breve della Redux, abbiano inserito cose che all’epoca mi sembravano troppo strane e alcune scene essenziali come la partecipazione francese in Vietnam. Il film ha recuperato il tono surreale e secondo me è la versione più bella. Grazie alla tecnologia, inoltre, immagini e suoni risultano molto spettacolari.

L’orario suggerisce che l’incontro sia finito, ma Coppola (ri)propone l’esperimento: far fare ai ragazzi le domande, brevemente, e lui proverà a rispondere a tutti. Eccezionale. Ecco che la fila di persone davanti al palco si ingrossa, la timidezza e la paura iniziali possono essere superate o messe da parte, temporaneamente. C’è chi chiede un consiglio per far recitare gli attori nel miglior modo possibile: Il regista è solo un coach, l’attore fa il vero lavoro. Quindi il regista deve solo aiutare e dare suggerimenti. Il regista poi deve sempre essere davanti alla camera così vede l’attore e lui vede te, perché in sostanza quello che fa è per te; chi vuole sapere cosa lasciare e cosa tenere quando si scrive una sceneggiatura: Quello che non ti piace buttalo per terra, poi in caso si recupererà. Non aver paura di buttare via le idee e di riprenderle. E ancora domande sul lavoro degli attoriDedicate un po’ di giorni alle prove, per conoscere meglio gli attori, gli attori così diventano il personaggio e sarà più facile per il regista dirigerli; sull’improvvisazione, che deve essere reale e sensuale; sul metodo di lavorodedicate due tre ore della giornata al lavoro personale, io lavoro al mattino presto perché nessuno mi rompe le scatole.

La masterclass è diventata insomma quello che Coppola sperava: uno scambio di idee e consigli tra colleghi. E mentre alcuni spettatori lasciano il teatro, pian piano la fila di ragazzi si esaurisce e un grandissimo applauso ringrazia l’umanità del regista.

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