#CinemaRitrovato2020 – Last Words. Incontro con Jonathan Nossiter e il cast

Il regista, a Bologna insieme a Silvia Calderoni e Kalipha Touray racconta il suo ultimo film, in selezione a Cannes e presentato in anteprima nella serata di chiusura del Cinema Ritrovato

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Una chiusura atipica per il Cinema Ritrovato che in un certo senso testimonia un’apertura e una continuità. Sarà presentato in anteprima Last Words di Jonathan Nossiter, alla presenza del regista, degli interpreti Stellan Skarsgård, Silvia Calderoni, Kalipha Touray; e di Thierry Fremaux. Si tratta infatti di un film che fa parte della selezione ufficiale di Cannes 2020, come ricorda Farinelli, ed è un passo importante in questo nostro cammino di ravvicinamento a quello che conoscevano, come l’esperienza comune di una proiezione cinematografica. Questo film è una profezia, un omaggio a chi non si arrende, ma prima di entrare nell’argomento vorrei cominciare dalle tue origini Jonathan, perché il percorso che hai fatto è umanamente e artisticamente interessante, da Adrian Lyne ad agricoltore.

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Nossiter: Last Words è il frutto di sei anni di lavorazione, poi il rapporto con la Cineteca è molto profondo – nel film vedrete che insieme a Bologna è centrale. Nel mio percorso la cosa più importante è che ho studiato greco antico all’università con Edward Bradley, che per me è come un fratello maggiore, e questo mi ha permesso di sviluppare l’idea che la cultura non è un divertimento extra o un supplemento al quotidiano, ma è una cosa sacra. Penso che abbiamo perso molto l’idea dell’atto culturale; studiare il greco antico, soprattutto quello omerico, è quindi importante. I miei figli studiano greco al liceo, in Francia è sparito, negli Stati Uniti non ne parliamo e penso che sia un atto barbarico. Tutto quello che sento dal cinema arriva dall’Odissea. La gente parla di Tarantino, di come sia riuscito a invertire la narrativa e fare degli strati, ma i poeti greci cantavano l’Odissea invertendo in modo pazzesco la narrativa sapendo che di per sé non è così interessante la narrazione ma il modo di raccontare. E non lo facevano per mostrarsi fighetti, ma perché è il nostro modo di vivere il quotidiano. Dopo gli studi ho lavorato come assistente per Adrian Lyne in Attrazione fatale – ha avuto simpatia per gli sfigati e io ero tra quelli (ride). Questa è stata una scuola di cinema per me: Flashdance, 9 settimane e ½ sono film che da un punto di vista estetico e politico potrebbero essere il contrario di quello che faccio oggi. Però amo Adrian e ho un rispetto enorme per il suo lavoro. E soprattutto mi ha permesso di fare davvero una scuola di cinema: a tutti quelli che vogliono diventare registi direi prima di andare a studiare greco antico e poi fare cinema con le mani perché non si impara in una scuola. Tra i film che poi ho fatto ci sono Mondovino, Resistenza naturale; in quel periodo mi guadagnavo da vivere facendo le carte dei vini nei ristoranti a Parigi, New York, Rio de Janeiro. In questo modo ho riflettuto sulla pulsione culturale nell’atto dell’agricoltura. Questo mi ha portato a conoscere un sacco di vignaioli nel mondo intero e ad avere un rapporto magico con la terra in un momento in cui la cultura urbana era in declino. Chi ha un rapporto con la terra, e questo anche è in Omero, sente la magia della trasformazione come fosse un artigiano o un’artista.

Farinelli: Per tornare al film, Last Words si basa su un romanzo…

Nossiter: Sì, Mes derniers mots di Santiago Amigorena, uno scrittore e storico franco-argentino e mio amico che ha scritto questa bellissima poesia in prosa. Leggendola mi ha trasmesso l’enormità del gioco finale al quale l’umanità sta davanti, cioè il rischio di sparire come specie in tempi brevi. Santiago ha raccontato con lucidità e senza paura questa minaccia, mostrando come l’amore per la letteratura dà speranza fino all’ultimo respiro. Il mio rapporto col cinema è questo: è un posto dove possiamo stare insieme e sognare insieme qualcosa di meglio cercando magari di migliorarsi.

Farinelli: Oggi abbiamo ospiti Silvia Calderoni e Kalipha Touray, ma sono tanti gli attori che hanno preso parte al film: Nick Nolte, Charlotte Rampling, Stellan Skarsgård, Alba Rohrwacher. Kalipha questo è il tuo primo film.

Touray: Quando ho incontrato Nossiter ero a Palermo e gli ho fatto tantissime domande. Non lo conoscevo prima. Io vengo dal Gambia e sono arrivato in Italia nel 2015, quando avevo 17 anni. Il viaggio è durato tre anni – sono stato in tanti paesi prima: Senegal, Mali, Burkina Faso e Libia dove sono rimasto per più di un anno. È stato un percorso in cui ho rischiato la vita e quindi Jonathan ha pensato che fossi adatto per impersonare l’ultimo essere umano rimasto sulla Terra.

Nossiter: La cosa bella è stato il tuo rapporto con Nolte. Nick è uno dei più grandi attori dei nostri tempi, però come tutti quelli che hanno una lunga carriera ci sono dei tic, delle autodifese. Invece tra te e Nick, che è molto sensibile, c’è stato uno scambio tra persone e non tra un attore intimidito e uno che fa questo mestiere da sempre. Sei riuscito a portarlo al di fuori della sua zona di confort.

Calderoni: L’incontro con Jonathan è stato casuale. Non c’è stato come normalmente accade un provino, è stata una chiacchierata umana. Mi ha chiesto di condividere, facendo il suo film, una parte del suo desiderio. C’era poi un discorso molto interessante legato all’economia del cinema: l’idea era che tutti venivamo pagati uguale, dalla star di Hollywood al runner. Poi ci siamo incontrati altre volte, mi ha proposto il ruolo di ermafrodita e mi sono sentita subito aderente anche rispetto al mio percorso. Quando ho incontrato Kal è stato molto emozionante, anche se abbiamo avuto qualche problema iniziale a comunicare – il mio inglese è pessimo e il suo italiano anche.

Farinelli: Avete girato anche a Paestum. Quanto sono durate le riprese?

Nossiter: Sembravano senza fine. Abbiamo girato in totale quattro mesi, che è almeno due volte di più di un film normale. Sarebbe costato una fortuna, ma grazie a quest’idea di compartecipazione e di salari uguali per tutti siamo riusciti a fare le riprese quasi senza fine. Paestum non è una cosa vecchia, è un elemento del passato che vive nel presente e devo ringraziare il direttore del Parco Archeologico Gabriel Zuchtriegel. Un altro privilegio è stato lavorare con Donatella Palermo: non mi ero mai trovato con una produttrice che guarda un film non dall’esterno ma dall’interno e accompagna ogni gesto del film con un’idea di creazione insieme. Donatella crede nel valore della poesia in qualsiasi gesto e non esiste un atto più radicale di questo.

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