CinemAsia – La fabbrica del cinema di Taiwan

taipei factory

"Taipei Factory” sfida otto autori emergenti a unire le forze due a due per creare quattro cortometraggi in meno di tre settimane. Un esperimento promozionale che esplicita i tentativi a basso costo che Taiwan sta facendo per ritrovare centralità nel panorama panasiatico. La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

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taipei factoryTaipei Factory è un omnibus di quattro cortometraggi sperimentali. L'aspetto che lo rende interessante, più ancora del risultato finale, è l'idea produttiva alla base. Sforzo congiunto della Taipei Film Commission e della Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes, unisce quattro registi emergenti di Taiwan con quattro giovani autori provenienti da diverse latitudini. Le coppie estemporanee hanno avuto meno di tre settimane (dal 26 febbraio al 15 marzo) per conoscersi, scrivere una sceneggiatura e girare un cortometraggio di circa 15 minuti. L'intento, dichiarato, è dare l'opportunità ai cineasti coinvolti di farsi conoscere da un pubblico di eventuali festival internazionali interessati al progetto, in modo da aprire nuove opportunità di lavoro. In un momento di forte cambiamento per l'industria cinematografica taiwanese, con una nuova generazione di registi ormai al comando dei maggiori incassi nazionali e il ritrovato interesse – seppur moderato – del pubblico per i film a produzione locale, si tratta di un modello promozionale intelligente e a basso costo, che potrebbe valer la pena vedere applicato ad altri scenari (perché no, anche alla traballante situazione italiana).

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taipei factoryL'industria taiwanese sta tentando di riguadagnare posizioni sullo scenario panasiatico (e in prospettiva mondiale, dopo lo smorzarsi del clamore per la new wave degli Hou Hsiao-hsien, Edward Yang e Tsai Ming-liang): aveva già adottato una soluzione simile con l'omnibus 10+10 (2011), in cui dieci registi affermati si alleavano con dieci emergenti. In quel caso però l'impatto dell'iniziativa era limitato dalla vistosa presenza di registi già noti, che hanno finito per oscurare i restanti. Qui invece i nomi coinvolti – al di là che per gli addetti ai lavori – sono quasi del tutto ignoti, e quindi è il progetto in sé che deve suscitare curiosità, garantendo peraltro una maggiore libertà espressiva.

Il cortometraggio introduttivo, The Pig, è esito dell'interscambio tra la regista locale Singing Chen (autrice di diversi documentari e dei film di finzione Bundled e God Man Dog) e il giovane coreano Jero Yun, con all'attivo una manciata di cortometraggi. Decidono di raccontare di due emarginati, una cantante di show itineranti che ha ormai raggiunto la mezza età e un contadino costretto a vendere il suo enorme maiale per poter garantire un futuro a sé e all'anziana madre. La storia è intrecciata alla leggenda di un imperatore cinese che per sfamare il suo popolo, decimato da carestia e ribellioni, si getta in mare e si trasforma in un pesce gigante. Il tenore è da realismo magico, con l'insistenza su location cadenti e disagio sociale che trovano sfogo in un finale quasi surreale, tra animali di plastica abbandonati in un bosco e una pioggia salvifica a saldare l'incontro dei due protagonisti.

taipei factoryIl secondo cortometraggio, Silent Asylum, unisce due personalità già in qualche modo formate: da una parte Midi Z, che con una manciata di corti documentari e due lungometraggi (Return to Burma e Poor Folk) ha imposto la sua presenza a livello internazionale, in una riflessione inedita sul Myanmar e sugli sconfinamenti, dall'altra Joana Preiss, attrice francese di recente passata alla regia con Sibérie (2011). Insieme costruiscono un duro documento su alcuni emigranti birmani a Taiwan, con interviste che raccontano le terribili esperienze passate sotto la dittatura militare, inframmezzate da un monologo dell'attrice che parla di Hiroshima. Un contrasto netto rispetto alla narrazione del primo segmento, che lascia un sapore amaro, per quanto incompiuto, nel palato.

Il terzo cortometraggio è frutto della collaborazione tra Shen Ko-shang, attivo nel campo documentario con alcune incursioni nel cinema di finzione, come in un segmento del progetto Juliets (2010), e il cileno Luis Cifuentes, veterano dei cortometraggi. Con A Nice Travel architettano l'episodio più sperimentale e frammentario, su una ragazza in procinto di trasferirsi in Cile che dà il commiato al fidanzato, alla famiglia e agli amici in un susseguirsi di scene isolate e decontestualizzate che ne raccontano lo spaesamento. La scelta stilistica, interessante, ma non approfondita, è di utilizzare un filtro che vira metà dello schermo al bianco e nero, lasciando la restante metà a colori. Il risultato è enigmatico, non perfettamente a fuoco, ma conturbante, tra documentario personale e resoconto anarrativo.

taipei factoryConclude Mr. Chang's New Address, lavoro congiunto di Chang Jung-chi, esploso grazie al successo del sentimentale Touch of the Light (2012), e dell'iraniano cosmopolita Alireza Khatami, conosciuto nel circuito dei cortometraggi. Si tratta del segmento più compiuto a livello commerciale, su un colletto bianco di mezza età che dopo esser stato in ospedale a trovare la madre malata, rincasa solo per scoprire che il suo appartamento è letteralmente scomparso nel nulla. Inizia per lui un'odissea kafkiana alla ricerca del domicilio vaporizzato, e quindi della sua identità. Con sferzate di umorismo nero e descrizioni concise dei personaggi, si chiude con un tocco poetico surrealista.

Le singole parti di Taipei Factory hanno esiti altalenanti, indecise tra pura sperimentazione e soluzioni più consolidate, forse anche per la relativa fretta con cui sono state realizzate, parte integrante dell'esperimento. Nel complesso però si tratta di uno sforzo collaborativo non sterile, anzi fecondo, che ha un senso se inserito in un programma più ampio di incentivi verso i nuovi talenti dell'industria locale, che in questi anni si sta dimostrando estremamente attiva, in costante crescita.

 

La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

 

 

IL TRAILER UFFICIALE DI TAIPEI FACTORY

 

 

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