CinemAsia – Stagione nera coreana

cold eyes

Due thriller confermano la propensione della Corea del Sud per storie torbide di crimine, rapimenti, riscatto e vendetta: da una parte le marziali geometrie visuali di Cold Eyes, remake di un film hongkonghese, dall'altra i lividi flashback di Montage. I rompicapo a incastro continuano ad affascinare il pubblico. La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

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cold eyesNoir e thriller sono tra i generi più battuti dall'industria cinematografica sudcoreana. Da lì in effetti bisognerebbe partire per capire la rinascita commerciale di fine millennio, che ha portato alla ribalta non solo un pugno di autori (Kim Ki-duk, Hong Sang-soo, Im Sang-soo, Bong Joon-ho, Hur Jin-ho) e di ottimi artigiani (Park Chan-wook, Kim Jee-woon), ma anche una struttura produttiva e distributiva che si è andata consolidando nel tempo. Dai tempi di Tell Me Something (Jang Yoon-hyeon, 1999), Shiri (Kang Je-gyu, 1999), Nowhere to Hide (Lee Myung-se, 1999), JSA (Park Chan-wook, 2000) e Friend (Kwak Kyung-taek, 2001) sembrano passati secoli, ma la volontà di affondare il colpo nei lati oscuri della società contemporanea non pare essersi mitigata – pur con esiti alterni, non sempre all'altezza delle aspettative.

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La stagione attuale è ricca di offerte in tal senso, come ogni anno, da New World (Park Hoon-jeong) e The Berlin File (Ryoo Seung-wan) a Hide and Seek (Huh Jung) e The Terror Live (Kim Byeong-woo). Tra i molti, si fanno strada due film diversi tra loro, ma che casualmente risultano complementari nel taglio e nella prospettiva: Cold Eyes – di Jo Eui-seok (già regista della commedia giovanilista Make It Big) e Kim Byeong-seo (direttore della fotografia di Hur Jin-ho negli ultimi A Good Rain Knows e Dangerous Liasons, al suo esordio nella regia) – e Montage, dell'esordiente Jeong Geun-seop. Il primo è il rifacimento/rielaborazione di Eye in the Sky (2007), primo esperimento alla regia di uno degli sceneggiatori di fiducia di Johnnie To e della Milkyway, Yau Nai-hoi: presenta un gruppo di investigatori che cercano di tracciare una pericolosa gang di criminali a partire da telecamere di sorveglianza e cari vecchi appostamenti. Montage invece segue le indagini di un rapimento, avvenuto quindici anni prima, sul punto di arenarsi, ma che trovano nuova linfa grazie a un caso in tutto simile al primo.

 

cold eyesCold Eyes è un prodotto ben confezionato, con alti livelli produttivi, che non meraviglia per la strada intrapresa e non osa niente di nuovo, ma è capace di ipnotizzare nella sua maniacalità narrativa. La guerra a distanza tra la squadra del detective Hwang (Sol Kyung-gu) e i malavitosi guidati dal glaciale James (Jung Woo-sung) si trasforma presto in una partita a scacchi di mosse e contromosse, tutte giocate sull'abilità di sfuggire al controllo, ovvero di non farsi vedere. I criminali studiano la rete di telecamere a circuito chiuso disseminate per la città, sfruttando i punti ciechi per far perdere le loro tracce, mentre i detective si mimetizzano tra la folla, cercando di amalgamarsi nel flusso caotico del traffico per non destare sospetti in coloro che stanno osservando. È proprio questo aspetto teorico a rendere interessante quello che altrimenti sarebbe il solito gioco del gatto col topo, una riflessione che rimane saldamente all'interno del cinema di genere, ma concede uno spunto sintattico ragguardevole, elaborando ulteriormente il materiale grezzo fornito dal film originale: non c'è solo uno scontro di intelligenze, quella calcolatrice-matematica del “cattivo” contro quella logico-visiva del “buono”, ma anche un confronto in differita, mediato, che corre sugli schermi che riprendono e omettono, la cui oggettività è continuamente messa in discussione. La blanda riflessione si accompagna a scene di tensione sapientemente costruite, e anche se non sono previsti grandi picchi emotivi, e i componenti delle diverse squadre rimangono sullo sfondo, senza mai diventare personaggi a tutto tondo (a differenza che nel film di Yau Nai-hoi), il risultato riesce a intrattenere. Un blockbuster oliato, giustamente ripagato in termini di botteghino – al momento è il nono incasso dell'anno.

 

montageL'approccio di Montage è più dimesso: qui fotografia e messa in scena sono meno curati, anche se il cast è altrettanto in vista (a partire da Uhm Jung-hwa) e l'ingranaggio narrativo – pur in apparenza sfilacciato – altrettanto elaborato. Il film è l'ultimo di una lunga serie ad affrontare di petto il tema della prescrizione di reati gravi. In passato ci avevano pensato Voice of a Murderer (Park Jin-pyo, 2007), che si riferiva a un caso reale di rapimento e omicidio non risolti, Children… (Lee Kyoo-man, 2011), tratto da un altro terribile fatto di cronaca riguardante cinque bambini rapiti e ritrovati morti anni dopo, e Confession of Murder (Jeong Byeong-gil, 2012), su un pluriomicida che apparentemente esce allo scoperto dopo il periodo di prescrizione per confessare il suo crimine. L'argomento fa discutere anche in Corea, evidentemente. Il film di Jeong Geun-seop ha un incedere meditato, che predilige la costruzione di atmosfere inquietanti piuttosto che gli sbalzi action di altri prodotti simili. L'aspetto interessante, in questo caso, è l'intreccio di passato e presente, sapientemente dosato tramite i flashback, che raccontano i retroscena e contemporaneamente montagecontribuiscono ad allargare il senso di quanto sta avvenendo. È proprio la costruzione articolata a portare allo svelamento finale, con le reali intenzioni del rapitore che deflagrano: c'è un disequilibrio voluto tra ciò che viene mostrato, ciò che vediamo, e ciò che realmente sta accadendo, operato dai tagli di montaggio. È da questo scarto che nasce il coinvolgimento dello spettatore, spinto a ricostruire autonomamente il puzzle. Anche in questo caso, come per Cold Eyes, i topoi del sottogenere sono completamente rispettati, non ci sono guizzi ulteriori, ad affascinare è la perizia con cui vengono mescolate le stesse identiche carte.

 

Dalle inquadrature “oggettive” di Cold Eyes agli scarti prospettici di Montage passa anche un esame linguistico della messa in scena del thriller (e del cinema), nella dialettica fra campo/fuori campo della visione (Cold Eyes) e costruzione di senso del montaggio (Montage). I due film non hanno velleità autoriali e non mettono in discussione la grammatica basilare del genere, ma hanno la forza di proseguire coerentemente la narrazione a partire dalle loro premesse. Anche dalla riuscita di progetti “medi” di questo tipo si vede lo stato di salute di una cinematografia.

 

La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

 

 

TRAILER DI COLD EYES

 

 

 

TRAILER DI MONTAGE

 

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