CinemAsia – Wild City: il ritorno di Ringo Lam

A dodici anni dall’ultimo lungometraggio e a otto dal collettaneo Triangle, si rifà vivo uno dei numi tutelari dell’action-noir di Hong Kong. Rubrica a cura di www.asiaexpress.it

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Dopo la lunga parentesi hollywoodiana alla corte di Jean-Claude Van Damme (Maximum Risk, The Replicant, Hell), Ringo Lam ha faticato a ricostruirsi una traiettoria in un cinema hongkonghese ormai irrimediabilmente orientato verso la Cina Popolare. Looking for Mr. Perfect (2003) si è dimostrato uno sparo a salve inconsequenziale e schizofrenico, mentre il sodalizio con Johnnie To e Tsui Hark per Triangle (2007) ha funzionato più sulla carta che su pellicola. C’era dunque molta attesa per il suo preannunciato ritorno al noir-action: Wild City sembrava dover aggiornare al nuovo millennio il suo stile adrenalinico – mostrato tanto in capolavori come City on Fire (1987) che in divertissement luccicanti come Full Contact (1992) – con l’aggiunta di un sottotesto al fulmicotone sulla situazione geopolitica attuale nell’ex-colonia britannica.

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La storia, purtroppo, è andata diversamente. Wild City è un modesto film d’azione che mantiene un ritmo elevato per tutta la durata, ma non ha ben chiara la destinazione. L’intreccio è formulaico, tuttavia poteva funzionare nella sua essenzialità. Due fratellastri, l’ex-poliziotto interpretato da Louis Koo e l’ex-pilota illegale interpretato da Shawn Yue, si ritrovano invischiati nella fuga di una ragazza, la mainlander Tong Li-ya, che ha rubato i soldi di una mazzetta sporca al suo ex-fidanzato (Michael Tse), un avvocato balordo. Il pretesto dovrebbe innescare da un lato una escalation di scene d’azione (scazzottate, inseguimenti e sparatorie con i malviventi sulle tracce della ragazza) e dall’altro permettere un affondo nella complicata situazione familiare (il rapporto teso tra i due fratellastri, l’amore che li accomuna per la madre). Su entrambi i fronti però Ringo Lam si ritrae pudicamente: le scene d’azione sono prive di personalità, mancano di una visione capace di stupire, mentre il collante emotivo è patinato, non troppo convinto, complice anche l’assenza di alchimia tra i tre protagonisti.

wild city 2Non si tratta comunque di un fallimento completo. Alcuni dettagli rimandano a una visione complessiva malinconica, eppure consapevole, dell’attualità, come la frase mantra ripetuta da Louis Koo (“Non sprecare lacrime di oggi per dolori di ieri”, naturalmente non riferita al solo lato sentimentale della vicenda), o il leitmotiv del film, per cui tutti hanno un prezzo e sono alla ricerca del denaro, fino al colpo simbolico che fa cadere la bilancia della giustizia nel finale. Per questi particolari, per quanto talvolta inseriti artatamente, Wild City sembra poter essere il primo passo di una possibile ricostruzione di fiducia. Preso da solo rimane un prodotto medio con qualche picco (la sparatoria finale, alcune inquadrature liriche della città), minato probabilmente da una certa fretta e da un budget limitato, con cui Lam ha dovuto fare i conti. Si spera però rappresenti un passaggio obbligato che gli permetta riguadagnare la fiducia degli investitori e di ritrovare uno spazio di manovra autonomo, visto che comunque non è andato male al box office cinese: all’uscita, tra fine luglio e inizio agosto, si è attestato al terzo posto, dietro al mega-successo Monster Hunt di Raman Hui, battendo ad esempio la seconda parte dell’epico The Crossing di John Woo, che si è fermato al sesto.

Rubrica a cura di www.asiaexpress.it

TRAILER WILD CITY

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