Citizen K, di Yves Montmayeur

Lega la biografia di Kitano alle numerose espressioni artistiche che ne hanno cadenzato il percorso. Fa dell’assenza di oggettività il mezzo con cui evoca le referenze emotive del suo cinema. Dal FEFF

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Nel sintetizzare in poco più di 70 minuti tutte le esperienze artistiche e biografiche di Takeshi Kitano, è evidente la frazione di pubblico a cui il documentarista Montmayeur vuole rivolgersi con Citizen K. Ogni azione, inquadratura o sequenza è qui pensata e diretta per l’occhio del fedele, di colui che probabilmente già è a conoscenza di gran parte delle storie raccontate, ma che accetta lo stesso di (ri)ascoltarle. Perché aprirsi a Kitano – e all’immagine che la storia ne propone – significa acconsentire alle regole di un (semplicissimo) gioco narrativo, con cui il film risponde alle più basiche esigenze nozionistiche dello spettatore/ammiratore. Secondo un approccio che fa della linearità il campo di indagine prediletto attraverso cui sondare tutte le verità celate dietro la superficie di un’icona immortale. Con la coerenza, che allo stesso tempo, funge da canale di trasmissione della reale istanza comunicativa della narrazione: cioè rappresentare l’omogeneità di pensiero di un artista che racconta sé stesso attraverso una molteplicità di figurazioni artistiche.

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Ogni atto di Citizen K è dedicato ad una specifica frazione della vita di Kitano. E al suo interno convergono tanto le nozioni biografiche, quanto quelle relative alle espressioni artistiche che ne hanno cadenzato il percorso. Nel primo segmento, infatti, le difficoltà esistenziali del giovane Kitano sono intrinsecamente legate allo sviluppo del suo spirito comico. E analogamente al biopic Asakusa Kid, la comicità è qui trattata come mezzo di salvezza di un uomo (solo in apparenza) comune. Intesa cioè come motivo scatenante della propensione di un individuo all’espressione personale, all’affermazione del suo posto nel mondo. Solo dopo aver mostrato il volto di “Beat Takeshi”, Citizen K passa al disvelamento delle sue innumerevoli facciate. E lo fa mostrandone le varie configurazioni come veri proseguimenti naturali. L’immagine che il film vuole comunicare del regista è infatti quella di un uomo profondamente coerente, che prende sempre sé stesso come riferimento paradigmatico delle sue diverse espressioni estetiche. Perché il Kitano comico, il Kitano pittore e il Kitano cineasta sono i vari volti del medesimo spettro. E gli elementi costanti delle sue arti, dalla violenza al sogno, dall’ironia allo spirito polemico, sono mosaici di uno stesso riquadro, che rendono affine il black humor di Sonatine alle speculazioni (auto)riflessive di Takeshis’, come alla comicità manzai di Getting Any? o agli assurdi dipinti di Achille e la tartaruga.

Ma Citizen K non desidera solo restituire il ritratto di un artista coerente con sé stesso. Nel corso dei due segmenti successivi – dedicati rispettivamente alla sua attività da regista e pittore – ad emergere è la volontà di (ri)configurare Kitano come singolarità, alla pari cioè di una figura cardine nel processo di legittimazione/rivoluzione del cinema asiatico contemporaneo. E non è un caso che siano proprio le parole di Jia Zhang-ke e Diao Yi’nan a sottolineare le nuove vie espressive attivate dal regista nipponico, disseminate nelle pieghe delle loro stesse poetiche. È nei silenzi di Xiao Wu o nel responso alla violenza di Fuochi d’artificio in pieno giorno che si nascondono i sedimenti del cinema di Kitano, sempre più proteso verso la sublimazione inter-culturale. Un’influenza che il documentario cerca continuamente di inverare, per esaltarla a suo fine e anelito paradigmatico. E poco importa se ne emerge così un film semplice nella struttura e didascalico nel racconto. Il rifiuto ostinato di qualsiasi parvenza di oggettività è parte integrante tanto del suo fascino quanto del suo abito comunicativo. Ma d’altro canto, davanti ad alcune delle immagini più potenti e iconiche del cinema di Kitano, come si fa a non essere emotivamente coinvolti, e a rimanere realmente obiettivi?

Titolo originale: Citizen Kitano
Regia: Yves Montmayeur
Interpreti: Takeshi Kitano, Michelle Temman, Kishimoto Kayoko, Yanagijima Katsumi, Koike Yuriko, Jia Zhang-ke, Diao Yi’nan, Akira Kurosawa
Durata: 73′
Origine: Francia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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