Cliff Walkers, di Zhang Yimou

Zhang delinea una realtà tensiva, eccitante e convoluta, che ingloba in sé i tratti della migliore spy story. Ma è anche, forse, la fine di un cinema che non tornerà mai più problematico. Prime Video

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Per Zhang Yimou la rivoluzione culturale è ormai un ricordo distante, persa nei frammenti di una poetica lontana nel tempo e nella vocazione espressiva. Gli ultimi 5 minuti di One Second, da questa prospettiva, ne hanno sancito il definitivo crollo analitico, favorendo allo stesso tempo il trionfo di una storicizzazione (a)problematica della Storia del paese. Nel cinema del regista cinese ora non c’è più spazio per un indagine drammatica dei tempi passati, né tanto meno per quegli orizzonti agresti illuminati dai raggi violenti del sole, che come saette nel buio, infuocavano i corpi (Ju Dou), le passioni (Sorgo rosso) e la quotidianità storicizzata (Vivere!) dei suoi personaggi/proletari. A rimanere, allora, è una rivendicazione “ufficiale” – e quindi approvata dai meccanismi censori dell’industria – di gesta eroiche e nazionaliste, che Cliff Walkers rilegge (o risalta?) attraverso la lente espressiva del genere.

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Dopo l’innocuità (melo)drammatica di Lettere di uno sconosciuto e la spettacolarità estetizzante di Shadow, ecco che Zhang Yimou ritorna alla sua seconda anima originaria, quella dell’action/thriller in stile Codename Cougar (1989). All’apparenza tutto in Cliff Walkers sembra viaggiare verso una doppia finalità parallela, diretta ad amalgamare l’anima nazionalista del racconto con i codici più classici e convenzionali della spy story. Ci ritroviamo, allora, in Manciuria, nello stato fantoccio del Manciukuò creato dall’impero giapponese nel 1932. Quattro agenti del Partito Comunista si catapultano ad Harbin per liberare dalle grinfie dei nemici un prigioniero dall’importanza assoluta, essendo egli l’unico testimone in grado di esporre davanti alla comunità internazionale i crimini orrendi commessi dagli occupanti nipponici. Ma non appena atterrano sulle montagne innevate del paese, comprendono di essere finiti in una trappola: qualcuno li ha traditi, e a loro non resta che fuggire e disseminare le tracce, al fine di risolvere la nevralgica operazione di cui sono stati incaricati.

Ed è in un contesto così periglioso e storicamente polarizzato, in cui ogni afflato problematizzante è propriamente negato, che emerge tutta la maestria di Zhang nel giocare con i canoni di genere, oggetto qui di una reverenza quasi ossequiosa. Seppur Cliff Walkers non si allontani dai vezzi espressivi della narrazione spionistica, districando così l’intreccio tra cappotti neri e atteggiamenti chiaroscurali, doppiogiochismi e torture viscerali, è nello spazio specifico di una realtà conflittuale, abbacinante, che il cineasta delimita i confini di una cornice tensiva ed eccitante. Senza perdere di vista la matrice propagandistica – il film è consapevolmente dedicato ai “coraggiosi eroi della Rivoluzione” – Zhang mette in scena un vero e proprio non-luogo, astratto da coordinate tanto geografiche quanto politiche, in cui a muoversi sono le azioni di personaggi senza direzione, né moralità apparente. E in un atmosfera così confusa e disorientante, dove è anche difficile discernere i confini tra i due (o più) fronti contrapposti, c’è ancora spazio per governare il chaos, e renderlo integrale ad una narrazione così sfuggente nelle sfumature narrative, quanto omologata nelle sue strutture paradigmatiche.

 

Come interpretare, allora, questo Cliff Walkers? Come un tentativo (riuscito) di asservimento alle politiche nazionalistiche dell’industria cinese, o come una sottomissione (banale, ma necessaria) di un artista lontano dalle tematiche a lui più care? Se paragoniamo il suo percorso a quello dei celebrati colleghi di Quinta Generazione, notiamo come egli si ponga in una posizione intermedia, a metà tra il rispetto dei meccanismi censori e la fedeltà ad un’espressione artistica personale. Chen Kaige ha appena firmato, insieme agli hongkonghesi Tsui Hark e Dante Lam, il film di propaganda di maggior successo della storia cinese, mentre Tian Zhuangzhuang ha svestito i panni del regista per produrre film sino-taiwanesi più intimi e introspettivi. Zhang, al contrario, continua ad affidare la sua speculazione al passato. Solo che al posto delle sofferenze taciute di un popolo, c’è la verità artefatta del pensiero unico, e insieme di un cinema che non tornerà mai più ad essere problematico. Perché delle cocenti e pulsanti sfumature cromatiche del rosso, non resta adesso che il candido pallore di una gelida neve.

Titolo originale: Xuányá zhī shàng
Regia: Zhang Yimou
Interpreti: Zhang Yi, Yu Hewei, Qin Hailu, Zhu Yawen, Liu Haocun, Ni Daohong, Li Naiwen, Lei Jiayin
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: 120′
Origine: Cina, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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