Closer, di Mike Nichols

Anestetico, non offre sicuri accessi al giudizio, al riso, al pianto, allo scandalo, alla proiezione di sé, ad una piega drammatica o ad un dettaglio visivo di un attimo. Erede opportuno della lezione kubrickiana di Eyes Wide Shut ci unisce in una seducente ma impietosa comunione morale.

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Closer è un film che riesce ad eccedere massimamente la sua glaciale naturalezza. Anestetico, non offre sicuri accessi al giudizio, al riso, al pianto, allo scandalo, alla proiezione di sé, ad una piega drammatica o ad un dettaglio visivo di un attimo. Per questo, come di rado accade, sta mettendo tutti d’accordo, folgorando gli occhi e la mente insieme. Erede opportuno della lezione kubrickiana di Eyes Wide Shut ci unisce in una seducente ma impietosa comunione morale. A guidarla una vecchia volpe come Mike Nichols a più di trent’anni da Conoscenza carnale, dove partendo dalle strips di Feiffer si incuneava nelle miserie sessuali della società americana, quasi a volerne trarre un bilancio soprattutto attraverso la rappresentazione verbale. L’universalità si fa qui ancora più invasiva e l’ambientazione londinese non sa certo frenarla visto che i set sembrano propaggini organiche al malessere fisico ed emotivo dei personaggi. Non c’è forse neanche una storia che possa confinarla, immaginata come un labirintico flashback immaginario in cui si procede a scatti seguendo le fasi iniziali e finali dell’innamoramento. Nonostante un calibrato lavoro in sede di sceneggiatura da parte del regista e di Patrick Marper, l’autore della pluripremiata commedia teatrale omonima, per mantenere l’impianto originario negli spazi, che esplodono per inglobare la non-fisicità aliena dei protagonisti, e nei dialoghi, che si affidano a messaggi, convincimenti ed analisi preventivamente da tradire se non rifuggire perchè o troppo falsi per soddisfare i bisogni primari di possesso o troppo veri per non minare il terreno su cui costruiamo ciò che desideriamo vedere. L’inconciliabilità tra amore e verità, perdono e bugia. E la sensazione che ciò che sappiamo essere falso non solo è sentito come necessario ma anche “più vero del vero”. Esemplare di questa ambiguità la sequenza nello strip club, simmetrica moralmente alla “chat” galeotta, dove ad un’algida metafora luminescente del rapporto uomo-donna si associano ancora dialoghi straniati e disperati che, nella ricerca di un contatto impossibile, non escono da ripetuti giochi di vendette parallele a sfondo sessuale. L’autore di necrologi, la fotografa, la spogliarellista, il dermatologo sono quindi figure che ben incarnano, grazie alla sensibilità degli attori che hanno saputo cogliere la libertà lasciata loro da Nichols, la necessità di rubare la vita degli altri per cercare un senso alla propria, attraverso il corpo e attraverso lo sguardo che sa come trafiggerlo. Can’t take my eyes off you…

 

 

 

Titolo originale: id.

 

Regia: Mike Nichols
Interpreti: Natalie Portman, Jude Law, Julia Roberts, Clive Owen, Nick Hobbs, Colin Stinton

 

Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 100′
Origine: Usa, 2004

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