COLONNE SONORE – L'infinito spazio sonoro di Werner Herzog

La musica, energia naturale ed atavica, diviene padrona dell'immagine filmica, impossessandosi della pellicola e ponendone in rilievo tratti e qualità che il suo nudo aspetto fisico non sarebbe riuscito ad esaltare. Ciò che poteva rimanere oscuro o nascosto diviene immediatamente trasparente, nella pienezza delle sue sfaccettature.

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Una nuova rubrica per parlare di musica nel cinema, partendo di volta in volta da uno specifico tema cinematografico (o musicale), per arrivare ai suoi collegamenti col restante universo dei suoni e della celluloide. Approfondimenti legati alla storia e all'attualità, che possono avere come filo conduttore un genere musicale o cinematografico, ma anche un singolo nome: un regista o compositore, o un unico film capace di sottolineare il contatto costante tra questi due (s)oggetti della cultura popolare. La musica sarà quindi trattata come oggetto musicale puro, culto vinilico o di altro formato legato a una mitologia immaginifica, ma ne verrà evidenziato anche il ruolo nel linguaggio filmico come indispensabile accompagnamento, inseparabile dall'immagine e strettamente legato al suo imprimersi nella retina in modo permanente. I miti più o meno consolidati della musica moderna (e classica) al cinema, il cortocircuito attore-rockstar, da Elvis Presley a Jimmy Page in Blow Up, fino a Juliette Lewis che in Strange Days si fa lei stessa (rock)star sostituendo Pj Harvey.

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La rubrica, aggiornata ogni settimana, comprende anche una sezione Musica in sala, con le recensioni delle colonne sonore che accompagnano i film del momento, una lista dei dischi "cinematografici" consigliati da Sentieri.

E' quanto avviene nell'ultimo film di Werner Herzog, The Wild Blue Yonder. Herzog ci ha già introdotti da tempo in questo universo sinestetico, nel corso di tutta la sua filmografia, con l'utilizzo di Wagner, Rachmaninoff, Leoncavallo, Bach, Bartok, per citare soltanto alcuni nomi illustri. Un legame che si è espresso appieno attraverso il felice connubio con i Popul Vuh, band tedesca dalle sonorità ancestrali ed apocalittiche, il cui leader e tastierista  Florian Fricke diviene fidato collaboratore di Herzog, per il quale compone le colonne sonore di Aguirre, L'enigma di Kaspar Hauser, Coeur de verre, Nosferatu, Fitzcarraldo e Cobra Verde.


The Wild Blue Yonder è un documentario realistico di avvenimenti irreali, come avrebbe detto Jean Cocteau. Ed è anche l'ennesimo tentativo del regista di condurre lo spettatore all'interno di un viaggio verso la fine e l'origine della sua Terra, all'interno del quale le sonorità del violoncellista olandese Ernst Reijseger abbracciano i canti della più antica tradizione sarda e i suoni senegalesi di Mola Sylla, fino a guidare l'occhio e l'anima nel selvaggio, lontanissimo blu.


L'epica spaziale, in particolare quella dell'esplorazione dell'ignoto, è qui commentata attraverso le musiche dei Tenores di Orosei, e nella storia delle colonne sonore cinematografiche non si ricordano altri casi in cui i suoni tradizionali dell'Isola siano stati decontestualizzati in questa maniera. La musica del popolo sardo non è più sottolineatura di momenti legati all'arcaica tradizione isolana o a suoi elementi culturali, come accadeva ancora nel recente Passaggi di Tempo – il viaggio di Sonos 'e memoria di Gianfranco Cabiddu, o in tanti altri film di cineasti sardi e non. L'esperienza musicale di The Wild Blue Yonder, seppur mescolata col jazz e la musica africana (o forse anche per questo), è il primo caso in cui questa antichissima forma sonora, da molti studiosi considerata (erroneamente) un semplice accompagnamento della poesia estemporanea, diventa commento assoluto, al di là di ogni manierismo folcloristico. Quella dei tenores diviene qui musica del mistero, colonna sonora per la ricerca del profondo ignoto, e non a caso le sequenze dove è presente sono perlopiù quelle che mostrano gli astronauti terrestri, impegnati in un viaggio alla ricerca di un "mondo nuovo" dove condurre l'umanità, costretta ad abbandonare la terra per imprecisate cause di forza maggiore. Un canto che viene dalla tradizione, dalla solitudine ma anche dalla necessità di incontro dei pastori, dalla voglia di festa popolare, di cui infatti è l'ideale accompagnamento in tutti i paesi della Sardegna. Una forma musicale tra le più antiche del Mediterraneo, che è anche canto della natura, e in quanto tale "terrestre" per eccellenza, visto che le sue quattro voci riproducono rispettivamente il belato della pecora (Sa Contra), il muggito del bue (Su Bassu), il sibilo del vento (Sa Mesu 'Oghe) e la parola dell'uomo. Sa Oghe, la voce.

Cinque dischi per capire:


Popol Vuh – Hosianna Mantra (1972)


Popol Vuh – Aguirre (1974)


Tenores de Orosei – Canticos e ballos (2006)


Ernst Reijseger & Tenores e Concordu de Orosei – Colla Voche (1999)


Ernst Reijseger  – Système D "Janna" (2003)

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