COMICS – Hergè e i meravigliosi mondi di Tintin


Vero e proprio simbolo del movimento franco-belga, il personaggio creato nel 1929 da Hergè è ancora oggi un monumento all’Avventura con la A maiuscola, caratterizzato da una fame di conoscenza che porta il personaggio (e il lettore) a effettuare una vera e propria ricognizione all’interno delle realtà del Novecento.

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Quando si parla di bande desinnée (in gergo, BD), il primo nome che viene in mente è ovviamente quello di Georges Remi, meglio conosciuto come Hergè, il creatore di Tintin. Per bande desinnée (letteralmente: strisce disegnate) si tende ad indicare il fumetto di provenienza franco-belga, quasi un vero e proprio sottogenere a parte nel variegato universo delle nuvole parlanti: la ligne claire di Hergè è uno stile oramai riconosciuto in tutto il mondo, caratterizzato da tavole colme di vignette e da un’attenzione verso i dettagli scenografici quasi maniacale, nonostante un tratto pulito ed essenziale. Il fumetto franco-belga nasce agli inizi del Novecento sotto forma di strisce periodiche, contenute in quotidiani e mensili di carattere prevalentemente pedagogico (su esplicita richiesta della Chiesa Cattolica); con la comparsa delle prime riviste dedicate alla neonata arte del fumetto, fa il suo ingresso nelle edicole il personaggio che più di tutti gli altri avrebbe poi contrassegnato e influenzato il mercato d’oltralpe: infatti nel 1929 vede la luce la storia Tintin in territorio sovietico, sulle pagine della rivista Le Petit Vingtième. Si tratta ovviamente di un personaggio decisamente acerbo e molto diverso da quello che conosciamo oggi, ancora in bianco e nero e caratterizzato da un tratto fin troppo semplice e basilare, per non dire modesto; in più, la vicenda era permeata  da un’oggettiva  componente di razzismo che sarebbe stata presto abbandonata (nonostante le polemiche si siano susseguite fino ai giorni nostri: ne parliamo più avanti): in ogni caso, il successo fu tale da proclamare la nascita di un nuovo modello di icona popolare, in grado di vendere ad oggi, nella sola Europa, qualcosa come 200 milioni di copie. Protagonista di 24 albi (l’ultimo dei quali incompiuto) dal 1929 al 1983, anno della morte di Hergè, Tintin non è sopravvissuto al suo autore, contrariamente a  quanto avvenuto con altri personaggi del fumetto franco-belga (si pensi ad esempio all’altrettanto ottima serie Le avventure di Blake & Mortimer, in corso tutt’ogg

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i nonostante l’autore Edgar Jacobs sia morto nel 1987): a dispetto di ciò, dopo tutti questi anni è ancora il personaggio più amato dai lettori francesi, e non è certo un caso quindi  che proprio in Francia  il film di Spielberg sia balzato subito in testa alle classifiche, a differenza del nostro paese dove Tintin – purtroppo – non è stato mai apprezzato e divulgato come avrebbe meritato. Tintin è un giovane reporter alle prese con enigmi e misteri che lo portano a viaggiare il mondo in compagnia del fedelissimo cagnolino Milù: del suo passato non si conosce nulla, e nel corso delle sue avventure non si è mai verificata nessuna forma di intrusione femminile (o comunque romantica), al punto da portare alcuni a effettuare una (discutibile) rilettura in chiave omosessuale del personaggio. Come già accaduto per Topolino, si è attirato le antipatie di chi vedeva in lui il prototipo dell’eroe perfetto e senza macchia, troppo “infallibile” per appassionare davvero: infatti, esattamente come il simbolo di casa Disney, Tintin non sbaglia mai, non indugia mai, non cade mai in errore. Nonostante questo però, le sue vicende sono sempre ricche di comprimari per i quali Hergè manifesta tutta la propria simpatia, scatenando continui  effetti comici decisamente esilaranti: si pensi ad esempio al Capitano Haddock, bevitore incallito, o all’irresistibile Professor Trifone Girasole e ai suoi problemi d’udito; o ancora, alla coppia di improbabili detective Dupont e Dupond, e al maggiordomo Nestore. Le avventure di Tintin diventano lo strumento tramite il quale Hergè effettua una ricognizione attraverso tutto il Novecento, affrontandone temi e problematiche: dalla Repubblica di Weimar al colonialismo belga in Congo, passando per le realtà del terrorismo e dei dittatori in Sud America; il personaggio è fortemente caratterizzato da una sete di conoscenza e da una fame di Avventura che lo porteranno a prendere coscienza del mondo contemporaneo, “per scoprire altri modelli di vita, altri modi di pensare: insomma, per allargare la visione del mondo” (Hergè), elevando quindi il medium fumetto a qualcosa di più di una semplice lettura di intrattenimento. Ma anche senza considerare la portata culturale e umanista dell’opera, immergersi in un albo di Tintin significa ancora oggi abbracciare l’Avventura a 360 gradi, per recuperare il piacere primordiale del ritmo e del racconto: tutta la serie è un viaggio da un confine all’altro del pianeta, dall’Africa alla Cina, passando per la Russia e il Tibet e poi ancora più su, fino alla Luna; forse il giovane lettore di oggi, quello abituato alle tavole moderne e iper strutturate dei supereroi Marvel e DC, potrà provare una sorta di rifiuto nei confronti dello stile classico e semplicissimo di Hergè, ma il consiglio è assolutamente quello di riscoprire il bellissimo lavoro del fumettista belga, per cercare di capire quanto e come questi albi abbiano influenzato l’arte del fumetto tutta. Il sense of wonder che si sprigiona da queste pagine è lo stesso dal quale Steven Spielberg si è lasciato trasportare per i meravigliosi scenari digitali del suo Le avventure di Tintin. Il segreto dell’unicorno 3D: vale la pena quindi spendere due parole sull’aspetto esclusivamente narrativo del suo film, per riflettere sul concetto di adattamento portato avanti dagli sceneggiatori. Anziché trasportare su schermo un episodio singolo, il film è un’audace e riuscita rielaborazione di (almeno) tre avventure: Il granchio d’oro (1941),
Il segreto dell’Unicorno
(1943) e Il tesoro di Rackham il Rosso (1944). Dalla prima viene ripreso in maniera pressochè identica l’incontro tra Tintin
e il Capitano Haddock a bordo del Karaboudjan, e tutta la successiva parte nel deserto; dalle altre due invece viene effettuata una geniale sintesi per raccontare il segreto dei tre modellini e la ricerca del tesoro. In più, un numero imprecisato di citazioni e rimandi all’intera serie, il più esplicito dei quali è certamente quello rappresentato dal personaggio della soprano milanese Bianca Castafiore (Tintin e lo scettro di Ottokar, I gioelli della Castafiore): in questo modo il film appare agli occhi del lettore affezionato come una rilettura totale dell’opera, una rielaborazione personale ma fedele al tempo stesso, come se tutti gli archetipi e i topoi avessero funto da trampolino per rilanciare il personaggio in un universo tanto familiare quanto inedito.  A questo proposito, è evidente come la tecnica del cliffhanger e un certa metodologia di approccio all’Avventura siano servite a Spielberg per effettuare una ricognizione all’interno dei generi, come se la serie di Indiana Jones fosse tornata nuovamente alla luce passando attraverso le pagine del fumetto (e non è assolutamente un caso, quindi, che una famosa recensione dell’epoca paragonasse I predatori dell’arca perduta agli albi di Tintin). In conclusione, abbandonarsi a Tintin è ancora oggi un piacere irrinunciabile per qualsiasi tipologia di lettore: una vera e propria icona del fumetto mondiale in grado di generare due serie animate (diffuse anche in Italia) e un vero e proprio simbolo della cultura popolare nei paesi di lingua francofona, trasmesso di generazione in generazione come un tesoro tramandato di padre in figlio. Un personaggio che è sopravvissuto alle continue evoluzioni del fumetto e, purtroppo, anche a una serie pressochè infinita di discussioni e polemiche riguardanti una presunta connotazione razzista: in particolar modo, la discordia si è concentrata su Tintin in Congo (1931), episodio colpevole – secondo molti – di rappresentare un’immagine primitiva e poco evoluta della popolazione congolese. Al di là delle opinioni e dei giudizi facili, andrebbe comunque sottolineato il fatto che qualsiasi opera non dovrebbe essere così facilmente estrapolata dal proprio contesto storico e culturale (in questo caso, gli anni Trenta), e che, con il senno di poi, le critiche retroattive molto spesso si rivelano fin troppo sommarie e pretestuose. In Italia, con l’eccezione del primo volume (pubblicato negli anni Ottanta da Comic Art) e dell’ultimo (l’incompleto Tintin e l’Alph-Art) tutti gli albi sono disponibili nel catalogo Lizard, mentre da alcune settimane Rizzoli Lizard ha pubblicato l’intera serie in otto eleganti volumi dal prezzo decisamente economico. Un’occasione da non perdere.

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    Un commento

    • bix o vattelapesca

      credo manchi, nella presentazione (puntuale ma appunto segnata da questa mancanza) philippedaveriana alla nuova edizione del fumetto, l'evocazione di un nome di un nume d'arte novecentesca (Balthus), tramite indiscrezione di 'backstage' per la preparazione di un quadro ormai famoso. Punto minimo e però indicativo di incontro tra il pittore Balthus e Hergé, per via degli albi dello stesso, durante le fotografie preparatorie a Michelina (una delle due mitiche figlie, con Katia, del custode di Villa Medici di cui Balthus fu a lungo sovrintendente tra gli anni sessanta e i settanta, entrambe assoldate dal pittore come modelle sul finire dei sessanta: si veda lo straordinario Katia che legge), nelle quali la ragazza fu fotografata intenta alla lettura appunto di un album di Tintin, 'di cui Balthus apprezzava il disegno' e forse anche l'incedere insieme misterico e fanciullesco delle storie. ma la gazzetta oggi cosa titola?