Conan il barbaro, di John Milius

Di carne e di acciaio. Di sangue e magia. Ricchissimo, prorompente, con un finale che resta scolpito nella pietra.

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“Ciò che non ci uccide ci rende più forti”. La citazione di Nietzsche in apertura è innanzitutto un omaggio a uno dei modelli che hanno suggestionato la formazione di John Milius assieme a quella di Mishima. E poi dentro la figura di Conan si incrociano il mito del superuomo combinato con il carattere oscuro dell’eroe guerriero e l’esaltazione di un respiro epico che ha sempre segnato il suo cinema. Dentro Conan ci sono tracce di Jeremiah Johnson di Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Pollack (di cui è stato sceneggiatore), ma anche del capo berbero incarnato da Sean Connery in Il vento e il leone, l’essenza del cinema avventura degli anni ’70.

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Conan il barbaro porta sullo schermo il personaggio creato dallo scrittore pulp Robert E. Howard negli anni ’30. Da bambino gli hanno massacrato i genitori sotto i suoi occhi. Cresce come schiavo e sviluppa una forza fisica notevole. Il suo scopo è solo uno: vendicare gli assassini del padre e la madre. Ad aiutarlo ci saranno Subotai, un esperto arciere e Valeria, una ladra.

Il vento, la terra. Non con la nostalgia di Un mercoledì da leoni, ma come quel grandissimo film, un altro esempio di un cinema che sembra volare e alzarsi da terra. L’inizio è una bomba. L’assalto al villaggio, il dettaglio degli zoccoli sulla neve, il senso di fine imminente già segnano Conan. E inoltre pochissimi cineasti sanno filmare la forza, come tutta la parte relativa ai lavori forzati. Con una sola immagine ricorrente (Conan che spinge una specie di ruota su un perno) c’è il decisivo passaggio temporale. Conan il barbaro unisce il fantasy con il cinema d’avventura, recupera dei Miti dell’antichità ma sembra porli in un universo futuristico. Con Schwarzy (in un ruolo pensato inizialmente per Charles Bronson e Sylvester Stallone) che sembra arrivare dall’oscurità e va, quasi per istinto, alla ricerca della luce. Come si può vedere dalla presenza ricorrente del fuoco. E al tempo stesso sembra fatto di carne e di acciaio. All’inizio non parla quasi per niente. Come se la scrittura di Milius avesse asciugato la sceneggiatura di Oliver Stone, che l’ha scritta sotto l’effetto di alcol e droghe e il risultato è stato definito da Milius stesso come un “totale sogno agitato di febbre e droga”. E puntasse su tutti gli impulsi nella sua formazione, ma anche nel suo avvicinamento alla scrittura e alla sessualità.

Un cinema ricchissimo, popolato di visioni (ill serpente gigante), cristologico, con squarci horror prorompenti (l’amplesso con la strega veggente) e con un finale notturno del tempio che resta scolpito come nella pietra. Tre anni dopo ci sarà un sequel, Conan il distruttore, diretto da Richard Fleischer.

 

Titolo originale: Conan the Barbarian

Regia: John Milius

Interpreti: Arnold Schwarzenegger, James Earl Jones, Max von Sydow, Sandahl Bergman, Gerry Lopez

Durata: 128′

Origine: Usa 1981

Genere: fantasy/avventura

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.71 (7 voti)
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