Conann, di Bertrand Mandico

Alla Quinzaine, Mandico sembra girare un film che vuole fare piazza pulita degli stilemi del cosiddetto nuovo dream cinema francese di cui è alfiere. Un’altra istantanea dei nostri tempi asincroni

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Non hanno troppe cose in comune, Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti e questo film di Bertrand Mandico passato alla Quinzaine, tranne probabilmente il fatto di essere entrambi a Cannes 76. Anzi, Mandico sembra qui allinearsi in qualche maniera anche alla deriva body horror del cosiddetto dream cinema francese di cui è alfiere (e che l’amico Yann Gonzales aveva anticipato guardacaso dalla Croisette qualche anno fa), recuperando mutazioni corporee e nascite di escrescenze sanguinolente sulla scia di Titane, la Palma d’Oro di Julia Ducournau che fece infuriare proprio Moretti nel 2020. Eppure, c’è questa questione delle cose che decidiamo a nostra insaputa.
Ne Il sol dell’avvenire il personaggio di Giovanni è costantemente asincrono, fuori tempo, come se non avesse mai coscienza effettiva non dell’avvenire quanto già del presente: la compagna ha affittato da mesi un appartamento in cui trasferirsi ma non ha il coraggio di compiere la scelta, il film che sta girando è inequivocabilmente un film d’amore ma lui sembra l’unico a non averlo capito, e così via. Questa rivelazione, sulle decisioni fatte dal nostro inconscio molto tempo prima che esso si penda la briga di comunicarlo alla nostra parte razionale, lo colpisce ad un certo punto, quando ribatte all’annuncio del matrimonio della figlia dicendo “se me l’avessi detto anche solo un mese fa non avrei reagito così”.

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La presa di coscienza che il tempo ci preceda: le diverse incarnazioni di Conann, la guerriera leggendaria narrata da Mandico in questo suo abbastanza indifendibile exploit dall’impianto apertamente teatrale che rinnova ancora una volta la sua passione nei confronti di un certo tipo di sensibilità scenografica italiana (non solo il Fellini della fase “gotica” ma innegabilmente Freda, forse anche Bava…), sembrano conoscere già tutto, la girandola di freaks in abiti di pelle che abitano questa sorta di anticamera dell’aldilà seguono un copione di frastornante banalità, urlano proclami su dolore, felicità e amore come fossero status in stampatello. È allora tutta una questione di messinscena? I fugaci istanti a colori brillantissimi con cui si accende il bianco e nero del film in corrispondenza del sangue dovrebbero forse cancellare l’incessante monologo di Rainer (…), il cerbero di questo inferno che in qualche maniera trasforma con le sue parole la barbarie del mondo di Conan(n) in una riflessione sulla nostra civiltà dei sentimenti e delle leggi di (anti)natura. E infatti la raffica di un mitra chiude il film e tutti i suoi ragionamenti: e se Conann fosse un film realizzato contro gli stilemi di tutta questa nuova generazione di cinema francese?
Una sorta di piazza pulita di uno stile che sembra già aver esaurito le cose da dire, e magari ancora non se n’è accorto, per tornare agli amori asincroni di Nanni Moretti (Il sol dell’avvenire è d’altra parte un altro film ossessionato da Fellini). Da questo punto di vista, il riferimento al Nuotatore di Cheever è decisamente cruciale: anche nel racconto il protagonista fatica a rendersi conto della verità che lo aspetta a casa, e nel frattempo si ostina a tuffarsi in acqua di piscina in piscina, di vasca in vasca…

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