Conversazione con Hal Hartley

Premiato per la migliore sceneggiatura Cannes 1998, Henry Fool è l'ultimo film di Hal Hartley. Questa è l’intervista che pubblicammo nel n. 5, nel settembre ‘98.

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SS: A proposito di Henry Fool, hai detto di volerti confrontare con una grande storia, con l'epica, ma soprattutto col tempo. Una svolta, rispetto ai tuoi film precedenti …
H.H.: Inconsciamente non ho mai fatto un film lungo, né mi sono preoccupato del numero di avvenimenti necessari o di quanto impiegasse la storia per svolgersi. Nei miei film precedenti volevo mantenere un periodo di tempo ininterrotto, facendo riprese molto lunghe. Con Henry volevo raccontare una storia che si svolgesse nel tempo, invece di contenerla entro le quarantotto ore, era un'esigenza che percepivo come una sort!a di maturità, nel senso che le cose per accadere richiedevano un determinato periodo.
Molto del ritmo dei miei film, fino ad ora, era dato dalla paura da parte mia che il pubblico si annoiasse. Questa è una cosa che mi faceva disperare…Fortunatamente la disperazione ti fa fare cose utili.
E' un timore che mi accompagna ancora, anche se adesso forse mi sento più a mio agio con l'elemento tempo. Prima ancora di scrivereHenry, mi ero posto un obiettivo estetico per il lavoro successivo, quello di fare un film 'enorme', con un linguaggio tutto mio. Non so se ci sono riuscito o se, invece, ho fatto di nuovo un piccolo film…

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SS: Il film offre peraltro una chiave di lettura della società odierna americana.
H.H.: Non volevo fare un commento, nè dare necessariamente una lezione, ciò che mi premeva era fornire quanti più elementi possibili per illustrare e condividere un'esperienza contemporanea.!ar Volevo dare un quadro della società e del contesto in cui io vivevo. Sono sempre stato interessato a raffigurare una sorta di tensione, quella lotta necessaria per vivere. Henry non vuol essere uno spaccato soltanto americano, ma contemporaneo, pur tenendo presente una realtà che è tipicamente americana, quella che si svolge nei caffè.

SS: C'è chi ha paragonato il tuo film a Boudu salvato dalle acque di Jean Renoir, e forse, per le tematiche trattate non mancherebbero altri esempi nella storia del cinema. Eppure con Henry riesci con grande abilità ad affrontare temi non nuovi – quelli relativi all'arte, all'ambizione artistica e all'amicizia – in modo del tutto originale…
H.H.: Il parallelo con Boudu mi sembra molto interessante, anche se purtroppo non ho visto il film.
In effetti con Henry mi sono espresso in una storia piuttosto tradizionale.
Volevo avere un punto di vista personale !su quanto stavo scrivendo, ma al contempo volevo che il personaggio rispettasse e mostrasse le aspettative e i comportamenti di un certo tipo di personaggio.
Ero conscio di voler fare un film che abbracciasse molteplici tematiche. Volevo raccontare una bella storia, dare delle emozioni al pubblico. La grossa ambizione della sceneggiatura era quello di lasciar andare questo desiderio di raccontare liberamente, tenendo conto però dell'esigenza di non disperdersi.
Prima di girare, chi leggeva la sceneggiatura mi diceva che la storia era troppo americana, troppo lunga e soprattutto complicata. Per me é stato molto divertente lavorare a questo film. Dopo l'insuccesso di Flirt non avevo più diritto all'errore. Il rischio era quello di strafare e di perdere di vista ciò che volevo dire.

SS: Oltre che figurativamente, il film è molto ricercato dal punto di vista linguistico…
H.H.: Molti elementi sono stati presi dalla letteratura, ho riletto Tolstoj, ma soprattutto Kaspar Hauser…
In effetti il personaggio di Henry , pur essendo una persona che vive ai giorni nostri, si muove in modo tradizionale per quel che riguarda il linguaggio.

SS: Sia Thomas Jay Ryan, nei panni di Henry, che James Urbaniak, in quelli di Simon, sono perfetti nei loro ruoli. Solitamente in base a quali elementi stabilisci se gli attori possono essere adatti ad interpretare i tuoi personaggi?
H.H.: Scelgo i miei attori principalmente in base al senso di padronanza che hanno della tecnica. Non mi piacciono scelte precostituite, in realtà passo molto tempo a guardare film, a vedere spettacoli, a conoscere gli attori. Penso che il metodo migliore per gli attori sia, una volta conosciuti, far leggere loro quanto io scrivo, in modo che possano capire ciò che voglio dire nei miei film. In un secondo momento voglio che gli attori apportino le loro proprie idee su quan!to ho scritto, e così facendo lascio che la cosa si evolva da sola.
Non entro nelle loro teste, nei loro cuori, non sono uno psicologo.
Gli attori rispondono in un certo modo. In base alle loro risposte si crea il ritmo del film.
Forse ho una tecnica restrittiva nei confronti dell'attore, mi piacciono le parole giuste, dette al momento opportuno, perchè così si dà la forma ad una scena.
Gli attori spesso amano lavorare sul superfluo e quindi il rischio è che si perdano un po' dentro, nella loro interiorità. Da questo punto di vista, li lascio andare affinchè essi stessi diano una motivazione e stabiliscano da soli la psicologia del personaggio.
Quando stavo scrivendo la sceneggiatura, sapevo che Thomas, l'attore scelto per Henry, era una persona molto loquace e che gli avrei chiesto di recitare il personaggio in un certo modo. La parte non era affatto semplice, in alcuni momenti! l'attore avrebbe dovuto recitare senza neppure poter prendere fiato. Un tipo di recitazione molto più vicina a quella teatrale, anche se il teatro è una cosa molto diversa, hai una realtà di fronte a te che ti accoglie, con cui tu ti relazioni.

SS: Molti tuoi attori provengono da esperienze teatrali. Ti senti vicino al teatro?
H.H.: No, non molto, sono invece legato ai bravi attori. A questo proposito devo ammettere che per trovare gli attori migliori bisogna uscire dall'ambito strettamente cinematografico.

SS: Per i tuoi film ti piace avere sotto controllo l'intera produzione, infatti sei regista, produttore, sceneggiatore.
H.H.: Scrivere, dirigere e produrre sono essenzialmente la stessa cosa. Non ho alcun tipo di problema in quella dinamica che si crea tra il fare arte e il gestire soldi, non mi sono mai lasciato scoraggiare.
Preferisco definirmi un filmaker, anche se per questioni di business la gente ha b!isogno di scrivere, di fare il regista, il produttore. In realtà si tratta di una attività molto semplice ed unica.

SS: Ti piacerebbe recitare?
H.H.: Per necessità mi sono trovato ad avere una piccola parte in Flirt , ma è una cosa che ho odiato. Mi sento molto più a mio agio e rilassato dietro alla cinepresa.

SS: Da un punto di vista produttivo hai avuto difficoltà nel realizzare Henry Fool?
H.H.: Il film era molto diverso dai miei lavori precedenti e questo incuteva qualche timore. Però poi sono riuscito a girarlo, così come lo avevo scritto. Certo ho dovuto adattarmi al budget. Ci sono meno comparse di quante avevo richiesto, in realtà soltanto venti ragazzini per quindici minuti.
Quanto alla produzione indipendente, sono stato 'fuori' per dieci anni, ma ora la situazione é cambiata. Era un periodo in cui ognuno esaltava la propr!ia individualità. Ultimamente dall'altra parte, ovvero ai margini, ci si sente molto soli. Ma dopo tutto la vita non è necessariamente questa, l'essere indipendente non è una scelta, dipende dalla distribuzione. Io difendo la mia opera, sto bene sia ai margini che dentro…L'importante non è dove ci si colloca. Ovunque vada ciascun regista mantiene la sua propria identità. Prendiamo l'esempio di persone che producono i film di James Bond. Se io fossi nei loro panni, mi piacerebbe proporre che uno di questi lavori lo girasse Alain Resnais, oppure Hal Hartley, ovviamente per svariati milioni di dollari. Sono certo che il risultato sarebbe affascinante. Potrebbe essere anche un film di fantascienza. Sono convinto che qualunque cosa venga proposta ad un regista, comunque quel film porterà i segni dell'autore, sia che si tratti di Resnais che di Hal Hartley. Anche Godard potrebbe fare un film eccezionale su James Bond.

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