Conversazione con Youssef Chahine

«Se non mi innamoro quattro o cinque volte al giorno mi sento male»

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SS: Nel corso del dibattito promosso da MicroMega lei ha detto che se non si innamora almeno quattro o cinque volte al giorno sta male. Ci è parsa una dichiarazione bellissima e non una battuta di spirito. E sembra che tutto Il destino sia segnato da questa pulsione panica, da questo desiderio di abbracciare la vita in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue forme. Vorremmo partire da questa sua apertura nei confronti del mondo, da questa comprensione emotiva delle cose, questo suo essere disponibile a innamorarsi continuamente del mondo.
Y.C.: Amare non è una debolezza. Se mi voglio guadagnare la fiducia, devo pagare prima. Non bisogna fare come i preti. Bisogna avere il coraggio di essere se stessi. Non voglio giocare a essere un altro, a dare un'immagine diversa da me. Questo sarebbe gravissimo e alla fine ci si dimentica di chi si è. Il primo che mi ha insegnato a essere «cattivo» con me stesso è stato padre Ludovico, un religioso italiano che insegnava ad Alessandria. Stavo urinando e lui mi chiede: «Che stai facendo con il tuo pipì?» E io: «Niente, perché?», «Sei sicuro che non stavi facendo solo pipì?». É stato padre Ludovico a farmi comprendere che potevo fare anche altro con il mio pene.

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SS: Nel suo film colpisce molto questo suo senso di religiosità non verticale ma orizzontale, cioè aperta a tutti gli uomini.
Y.C.: Questa è un'osservazione molto acuta. Se leggi il Corano, la Torãh, la Bibbia, non c'è nessuno che ti dice di uccidere l'altro, di approfittare dell'altro. Tra queste religioni ci sono dei riti che poi si trasformano in qualcosa di politico. Ciò che c'è di buono nel Corano e che non esistono intermediari tra te e Dio. E io personalmente preferisco questo atteggiamento. Quando litigo con Dio uso con lui anche delle parole poco gentili perché a volte mi fa proprio arrabbiare. Io amo ragionare. Non voglio che venga un prete, un imbecille qualsiasi, un religioso e che mi dica: "Adesso ti spiego io". Come può sapere questo tipo che tipo di relazione c'è tra me e Dio. Non lo so neanche io.

SS: E' come se tutti i personaggi del film partecipassero di Dio. Se si pensa alle gentilezza di Averroé nei confronti dei gitani, l'apertura dei gitani nei confronti della vita…
Y.C.: É proprio per questo che dico che non debbono esserci intermediari tra Dio e l'uomo. Altrimenti come può un uomo liberarsi dei diversi riti delle chiese? Non attraverso il Cristianesimo. Se uno vuole pregare su un trapezio, è libero di farlo. Bisogna mantenere questo rapporto diretto tra l'individuo e Dio, senza passare attraverso una terza persona.

SS: La cosa straordinaria del film è che ha un atteggiamento estremamente moderno verso la propria cultura. Il discorso sull'Islam non si fa a partire da un presupposto occidentale, ma volgendo indietro lo sguardo verso le origini della propria cultura. Ossia ricontestualizzando nel presente ciò che si è dimenticato per ritornare a essere.
Y.C.: Ciò che era poi l'Islam allo stato puro. Prima che entrassero in gioco interessi politici.

SS: Se le persone presenti al dibattito di MicroMega avessero visto il film, non ci sarebbe stato bisogno di distinguere tra un Islam buono e un Islam cattivo perché si comprende benissimo che Averroè si riferisce al medesimo libro, ai medesimi versetti che poi sono abusati dagli integralisti
Y.C.: Esattamente. quando si è parlato della violenza islamica, io sono stato costretto a rispondere che la vostra violenza, quella nazista, non ha neanche 50 anni ed è stata la più disumana.

SS: E' stato molto imbarazzante quando si è fatto riferimento all'Illuminismo, dimenticandosi poi, come sottolineano molte correnti di pensiero, che l'illuminismo, con la sua enfasi posta sulla supremazia della ragione, ha dato vita ai moderni totalitarismi.
Y.C.: Infatti non mi sono trovato molto d'accordo e sono felice che il messaggio sia giunto. Quindi non mi ripeterò. La cosa grave è che persone che hanno letto appena sei libri si approprino del monopolio del potere e del sapere.

SS: Magari hanno letto cinque o sei libri e non hanno mai mangiato il risotto allo zafferano…
Y.C.: Ah (ride). Vedevo bene che alcuni di loro erano fascisti. Perlomeno da come parlavano…

SS: Il suo film commuove perché nell'Andalusia vediamo l'utopia della gente del Sud. É l'immagine di ciò che il Mediterraneo avrebbe potuto essere e che dovremo ancora tentare di realizzare.
Y.C.: Mi piacerebbe rivedere l'Europa com'era e come dovrebbe essere oggi. Non bisogna tornare indietro. Non ha senso tentare di far esistere oggi ciò che non c'è più. Una volta le differenze tra ricchi e poveri erano meno visibili. Oggi con la diffusione dell'informazione la gente si rende conto delle ingiustizie sociali. In genere gli intellettuali erano quelli che stavano meglio. In questo senso andrebbero lette anche certe esasperazioni della violenza integralista. Quando ero piccolo, Alessandria era una città multilinguistica piena di cultura dove però c'era un popolo che soffriva e che non si poteva permettere neanche le spese essenziali. Allora per far esistere di nuovo un progetto sociale come quello dell'Alessandria che conoscevo da ragazzo bisognerebbe risolvere il problema di questa gente. Non ha senso volgersi al passato, bisogna risolvere i problemi di oggi.

SS: In Il destino si evidenziano diversi stadi di "temperatura di pensiero": da una parte luoghi freddi, quelli della religione cristiana che omologa gli individui facendoli parlare tutti per frasi fatte. Dall'altra parte ci sono invece i luoghi di Averroè e dei gitani, luoghi caldi. Le temperatura viene alzata anche da colori vivi e forti. Esempio di questo passaggio tra luoghi a temperature diverse è il "ritorno" del figlio dell'emiro presso la comunità di Averroè. É come se il ragazzo, al quale è stato inquinato il cervello, trattenesse dentro di sé un'energia compressa, rimessa in circolazione da una musica che richiama istintivamente movimenti corporei. Qui è il genere musical che entra in gioco per trasmettere nuova energia.
Y.C.: Una delle armi utilizzate dagli integralisti è proprio quella di reprimere l'energia. Secondo loro, non bisogna ballare, non bisogna cantare. Certo, in Il destino ho provato a trasmettere energia. É proprio l'energia che voglio far uscire, l'energia del coraggio. Gli integralisti sono forti. Hanno moneta, possono corrompere chiunque. Sta a noi dire di no, di mostrare una nuova energia positiva, un nuovo coraggio.

SS: Un'energia capace di far volare il pensiero…
Y.C.: Un'energia umanista che appartiene a tutti. É questa energia che si tenta di far scattare, di far ripartire da ogni individuo. Credo che sia questa la nostra lotta. Di tutti noi.

SS: Nella costruzione degli elementi del musical, soprattutto per quanto riguarda la messa in scena, c’è un'attenzione stilistica degna del cinema hollywoodiano. Pensiamo a Minnelli, a Berkeley ma soprattutto al primo film hollywoodiano di Duvivier, Il grande valzer
Y.C.: Ah, Il grande valzer. Si tratta del film che ho visto di più nella mia vita…

SS: É basato sulla vita di Strauss…
Y.C.: Si, sarà pure il primo film hollywoodiano di Duvivier, ma quella è un'opera tipicamente europea. Lì la canzone, la danza possedevano veramente un ruolo espressivo.

SS: E il modo libero di muovere la macchina da presa di Duvivier?
Y.C.: Adoro Duvivier. Mi permetto di dire di voler avere lo stesso slancio. Ho visto quel film 40 volte. E quando il dialogo mi annoiava, rompevo le scatole alle gente che, al cinema, si trovava vicino anticipando le battute successive: "Adesso questo personaggio fa questo, adesso dice quest'altro", ecc. Lo conosco a memoria quel film. Sono felice che nel mio film abbiate trovato delle verità. Non mi vergogno di dire che sono stato influenzato.

SS: Probabilmente influenzato, ma positivamente, perché nel suo film ha ricreato quelle forme di musical secondo la sua ottica.
Y.C.: É inevitabile che quelle forme vengano ricreate secondo un'altra ottica. Ma a Duvivier mi accomuna lo spirito di base. E si tratta dello stesso spirito che esiste in tutte le religioni. Ma che le tre principali religioni monoteiste non si vantino troppo. Tutt'e tre derivano dalle tesi di Achenathon, il primo faraone monoteista. Lui, Achenathon, è la vera fonte. Può darsi che poi lui abbia rubato a sua volta da qualcun altro. Ma non si tratta neanche di rubare. Si tratta di idee che si diffondono. Se, per esempio, nella religione cattolica non ci fossero stati i concili come quello di Giovanni XXIII, le cose oggi sarebbero peggiori. Purtroppo nella tradizione islamica non ci sono concili. Lo slancio ideale quindi non si può rinnovare. Il filo conduttore che lega tutto questo è ovviamente l'Umanesimo.

SS: Il destino è un film non contro qualcosa ma a favore di qualcosa, a favore della vita. Ci sembra che la presa di posizione del film più che nelle dichiarazioni, sia proprio in questa "politica delle temperature". L'opera si apre in maniera molto livida, lontana, fredda. Quindi un mondo molto chiuso. Poi si arriva a Cordova nel mondo di Averroè e dei gitani e si entra in contatto con una luce diversa che illumina, una luce più calda…
Y.C.: Io sono cristiano. Sono stato educato come cristiano. In tutti noi ci sono delle abitudini mentali cristiane. Però non mi pongo mai nella ruolo di giudice. Né nella mia religione, né in quella degli altri. Posso guardare al fanatismo con un occhio neanche critico, con un occhio di qualcosa che non mi piace. Posso invece guardare con uno sguardo d'amore alle persone più vicine ai miei sentimenti, più vicine all'Umanesimo. Parliamo di una cosa molto difficile da spiegare ossia della posizione nei confronti di qualcosa. Spero comunque che questo elemento sia visibile nel mio lavoro. Quello che tento di fare – non so poi se ci riesco o meno – è di essere trasparente. Quello che dico ai miei attori è che se imparano a mentire, anche troppo bene, nella vita privata, non saranno mai dei grandi attori. Ed è per questo che non amo molto i commercianti. C'è qualcosa di falso nell'anima delle persone che mentono. Ma ora si sta parlando di nuovo di cose troppo complicate.

SS: A proposito di "trasparenza", in riferimento ancora alla sequenza in cui tutta la famiglia di Averroè e dei gitani tentano di richiamare Abdallah, il figlio del califfo, alla vita; e ciò nonostante soffrano per Marwan. E poi ci viene in mente il primo piano di Abdallah con la lacrima che cola sul suo viso…
Y.C.: Si tratta di una scena che adoro. Ed è riuscita a me che sono un mostro (ride)…Vi spiego le modalità di questa scena. Mi preparo con la macchina da presa per inquadrare l'attore che interpreta Abdallah, un giovane di 19 anni. Faccio partire la musica (comincia a mimare il ritmo della musica). Gli dico: "La musica segue questo percorso" : tim tam ti ti tam e quando la musica cambia, ti ti tam tam tam, voglio vedere la lacrima che scende sul tuo volto. Non voglio sapere come, ma la voglio vedere. E quando seguendo la musica mi avvicino a lui carrellando, lui sta piangendo. Lui lo ha fatto. E io l'ho abbracciato. Quell'attore possiede una grandissima capacità di concentrazione. Tra noi due, in quel momento, c'è stata un'immensa sintonia. Ci siamo accordati sulla stessa cosa. Quando lui è riuscito a far emergere quella lacrima, anche io avevo una lacrima nei miei occhi. Ma non come reazione alla sua lacrima, ma perché stavamo lavorando all'unisono. Così sono riuscito ad ottenere quello che volevo, quello che la sceneggiatura prevedeva.

SS: La musica era eseguita sul set dal vivo o c'erano delle fonti pre-registrate?
Y.C.: Preregistrate. Il ritmo della musica va secondo le onde del cuore, segue il loro ritmo.

SS: Le coreografie sono state messe a punto precedentemente o elaborate al momento?
Y.C.: Sono state organizzate prima. Non mi permetto di improvvisare.

SS: Eppure tutto sembra così spontaneo…
Y.C.: Si, ma la spontaneità la ottieni solo se ti prepari. Devo preparare prima i movimenti di macchina. Se improvviso, come faccio a gestire un set di cento persone con tutti che hanno un problema diverso? Quelli che lavorano con me sanno molto bene come lavoro (comincia a mimare i suoi movimenti sul set, indica percorsi che poi vengono eseguiti con la macchina da presa). Preparandomi ho tempo per vivere l'istante. La maggior parte degli attori del film sono giovani. Hanno tra i 19 e i 23 anni. Devo sapere come aiutarli. Devo avere il tempo per essere realmente a loro disposizione. Mi devo mettere anch'io nella situazione emotiva che stanno vivendo per catturare quel clima magico che si crea tra loro. La lacrima sul mio viso non è spuntata perché ho visto piangere Abdallah ma perché la musica probabilmente comunicava, sia a me che all'attore, le stesse emozioni. Come si può essere spontanei senza ispirazione? Questa dell'ispirazione è una cosa un po' francese, aspettare che giunga un'idea dal cielo. Non fa per me. Se uno ha la diarrea che fai? Non giri? Sul set ci sono 100 persone, pagate, che attendono tutte le tue indicazioni e tu non puoi permetterti di aspettare la tua ispirazione. Tant'è vero che tutti i miei assistenti sanno sempre esattamente quali sono e saranno i movimenti di macchina dei miei film. Se io dovessi morire durante le riprese, loro sarebbero in grado di portare a termine il film. Magari non sarebbe proprio la stessa cosa, ma perlomeno il film viene portato a termine.

SS: Il set di Il destino ci è parso uno spazio estremamente limitato, circoscritto. Un po' come il set di Gare centrale, un set dove però anche gli ambienti, gli oggetti hanno una loro vita. Pensiamo ai vagoni e ai binari di Gare centrale, quasi personaggi attivi del film, un po' come la campagna di La terre, il porto di Les eaux noires.
Y.C.: Penso che gli spazi siano molto importanti. Prima di cominciare le riprese di un film, faccio molte foto. Prima di girare Il destino ho scattato 4000 fotografie, affinché nulla avvenga per caso. Io devo "sentire" i luoghi. Sono molto influenzato dalle linee, dalle forme. Ritengo che questi elementi siano essenziali per il mio lavoro. Non esiste solo la mise n scène. C'è anche la mise en quadre. Provo piacere, dopo aver sistemato la macchina da presa prima di girare, nel sentire la grandezza dei personaggi nel quadro visivo. Per questo comincio a chiedere al mio aiuto anche delle cose un po' stupide come: "Voglio avvicinarmi ancora di due centimetri ai personaggi". Magari due centimetri sono una sciocchezza, ma quando fai l'amore due centimetri in più o in meno sono fondamentali e fanno una bella differenza.

SS: Quindi quando la macchina da presa è molto lontana, è molto lontano anche il suo cuore rispetto quello che vede
Y.C.: Si è vero. Non mi piace fare l'amore da lontano…

SS: Lo sceicco, i fondamentalisti, vengono filmati sempre da molto lontano…
Y.C.: Guarda in confronto a me Fred Astaire è un povero dilettante. Da ragazzo riuscivo a ballare per giorni interi. É chiaro che non posso essere vicino a gente che mette al bando la musica e la danza. Non potrei vivere senza la musica e il ballo. C'è un bisogno umano di esprimersi attraverso il ritmo: cantare, danzare, ballare. Questo è abbastanza facile da insegnare. Non è difficile da capire. Se voglio, posso farti diventare un regista in due settimane. Io ti do da mangiare. Forse anche dormire. Se ami il lavoro, se sei pronto a lavorare duramente. Devi essere pronto a lottare contro i fanatismi. Io ho dovuto faticare parecchio. Ci sono voluti 47 anni per far riconoscere la validità del mio cinema a Cannes. Prima per il festival francese ero folklore. Prima potevo essere considerato sulla Croisette come una scimmia da competizione internazionale. Se ero presente, avevano una bandiera in più da aggiungere. Facevo spettacolo. Poco a poco hanno cominciato a dire: "Beh, però il suo lavoro non è male". Ci sono voluti 47 anni. Ma io non ho avuto fretta. Ho fatto in tempo a farmi operare al cuore due volte. Mi hanno dato 16 anni di vita in più. Attenzione giovani! Vi tocca fare ancora i conti con questo ragazzo di diciotto anni!

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