Cosa dimostra il successo de I peccatori

Gli incassi del film di Ryan Coogler dimostrano il ruolo centrale del cineasta (con il suo divo Michael B. Jordan) e del pubblico black nell’industria cinematografica statunitense contemporanea

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I peccatori ci è piaciuto e non poco. Abbiamo lodato il film stesso, nonché l’autenticità di tutte le opere blues di Ryan Coogler. Ciò che però risalta è che, oltre al successo di critica, il lungometraggio con Michael B. Jordan e Hailee Steinfeld è al momento protagonista indiscusso del box office americano, dove in soli 10 giorni ha già fatto registrare diversi record a livello di incassi. Dopo un’apertura da 48 milioni di dollari, I peccatori ha infatti proseguito la sua corsa senza particolari flessioni nel secondo weekend, in cui ha guadagnato altri 44 milioni, con un calo del solo 6%. Ad oggi la pellicola ha quindi incassato ben 122 milioni sul mercato domestico, arrivando ad oltre 160 se si aggiungono i dati internazionali.

Per comprendere la portata di tale risultato, basti pensare che per ritrovare una situazione simile, escluse quelle opere tratte da proprietà intellettuali – saghe, fumetti, romanzi, ecc. – o dirette da Christopher Nolan (unico regista che sul mercato vale praticamente quanto un’IP), bisogna tornare al 2017, quando Scappa – Get Out, di Jordan Peele aveva sbancato al botteghino, con una perdita nel secondo weekend che comunque girava intorno ad un ottimo, ma sicuramente più consistente, -15%.

Se non bastasse, a dimostrare ancora una volta la portata del fenomeno, va segnalato che il film è inoltre il maggior successo di una major, esclusi anche in questo caso i lungometraggi legati a proprietà intellettuali, degli ultimi 10 anni. Prima de I peccatori peraltro a detenere tale record era un altro lungometraggio di Peele, Nope, uscito nel 2022 delle sale mezze aperte e mezze chiuse per la pandemia. Che conclusioni si possono trarre alla luce di questi indizi?

I peccatori

La prima è sicuramente legata al peso che Ryan Coogler sta dimostrando di avere sull’industria cinematografica statunitense contemporanea . Dopo l’esordio già convincente con Prossima fermata Fruitvale Station, il cineasta afroamericano aveva legato il suo nome proprio a due grandi IP, inizialmente a quella di Rocky, dirigendo il primo capitolo della saga spin-off Creed, poi all’MCU. In quest’ultima, con Black Panther e Black Panther: Wakanda Forever, si era peraltro distaccato come uno dei pochi registi dell’intero franchise ad essere apprezzato, oltre che a livello di pubblico, anche quasi unanimemente dalla critica, guadagnandosi la definizione di autore spesso poco concessa ai suoi pari impegnati nei cinecomic, nonché la possibilità di girare un’opera originale con un budget particolarmente cospicuo (I peccatori è costato circa 90 milioni di dollari).

Il paragone spesso azzardato con Spike Lee come cineasta di riferimento della comunità black statunitense, oggi sembra trovare definitivamente una sua ragion d’essere. Negli scorsi giorni è stato proprio il maestro newyorkese a “benedire” di fatto il giovane collega (classe 1986) con un post di congratulazioni su Instagram, ovviamente alla sua maniera. Il peso di Coogler è inoltre dimostrato dall’inserimento in fase contrattuale con la Warner Bros. di una clausola che gli consentirà di detenere il 100% dei diritti sulla pellicola a 25 anni dalla sua uscita. Non era mai successo, quantomeno nel contesto degli studios hollywoodiani, che un regista riuscisse a strappare un simile accordo. Per comprendere se si sia trattato di una mossa vincente, occorre chiaramente attendere la prova del tempo, ma in queste prime settimane I peccatori sembra essere già sull’ottima strada.

Un altro aspetto da osservare non può che essere legato all’influenza che gli afrodiscendenti sembrano avere sul mercato cinematografico statunitense odierno. A supporto di questa tesi, ecco proprio i risultati di film black come quelli già elencati degli stessi Ryan Coogler e Jordan Peele, che in un’epoca di scarsi profitti per gli autori, sono gli unici su cui le major sembrano essere disposte a scommettere senza troppi patemi, forti proprio degli incredibili riscontri al botteghino. Accanto ai vari Safdie, Ari Aster e Robert Eggers, spesso citati come i più interessanti artisti emergenti della propria generazione, Peele e Coogler sembrano essere infatti gli unici ad abbinare un’indiscussa qualità ad una grande attenzione da parte del pubblico. Non si può non pensare al contesto in cui ciò avviene, e quindi all’inasprimento delle contrapposizioni sociali negli USA del MAGA e delle due amministrazioni Trump, che hanno toccato l’apice con l’assassinio di George Floyd nel 2020 e che da allora non sembrano ancora destinate a placarsi. Episodio peraltro simile a quello narrato in Prossima fermata Fruitvale Station, che raccontava l’uccisione da parte della polizia di Oscar Grant, anch’egli interpretato da Michael B. Jordan.

E a proposito, vi viene in mente ad oggi un divo dal peso specifico di quest’ultimo? Similmente a Peele e Coogler, Jordan è nel panorama contemporaneo l’unico nome capace di mobilitare automaticamente il suo pubblico. Dalle nostre parti ci sono volti più riconosciuti e reclamizzati, ma se si ha un po’ di dimestichezza con gli ambienti social d’oltreoceano, non può non sfuggire l’incredibile notorietà raggiunta dall’attore. Se quindi Spike Lee aveva il suo Denzel Washington, Ryan Coogler ha il suo Michael B. Jordan, in quella che sembra un’accoppiata destinata ad incidere non poco nei prossimi anni di cinema internazionale.


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