Cosa si deve fare per rilanciare una film commission?

La tavola rotonda “No signal? Audiovisivo lombardo, una nuova film commission come motore del rilancio” risponde all’affaire Lombardia Film Commission. Ecco quanto emerso dal convegno

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La recente vicenda processuale che ha visto coinvolto la Lombardia Film Commission sull’acquisto di un immobile che secondo gli inquirenti sarebbe stato acquistato a prezzo gonfiato con fondi pubblici ad ottobre ci aveva interessato come proposito per un inquadramento generale delle Film Commission. A vent’anni di distanza dalla loro nascita e dall’importanza sempre crescente che questi enti hanno acquisito per il mercato cinematografico forse questo caso di cronaca giudiziaria poteva servire a squadernare con l’urgenza che solo la contingenza rende come sempre manifesta un loro necessario ripensamento. Il peculato che sarebbe stato messo in atto dai tre dirigenti indagati della Lombardia Film Commission denota infatti l’urgenza di una classe dirigente che possa dirsi veramente estranea a qualunque appartenenza/sudditanza politica. Non sembra però questa la direzione intrapresa dal consiglio regionale della Lombardia dato che esso ha bocciato qualche giorno fa la mozione del Movimento 5 Stelle che chiedeva di adottare opportune iniziative giudiziarie a tutela dell’immagine dell’ente regionale. Il testo è stato respinto a maggioranza con voto segreto. Bocciata con le stesse modalità anche la mozione del Pd che chiedeva alla Regione, in qualità di socio della Fondazione, di sollecitare Film Commission a sciogliere in chiave di autotutela, il contratto con lo studio Scillieri (titolare della presunta frode NdA) e a rinnovare l’Organismo di Vigilanza, sostituendo per intero l’attuale. Una cautela che se a livelli istituzionali può comunque giustificarsi come prassi garantista trova insospettati legami con gli stessi addetti del settore. “Riformare Lombardia Film Commission, attraverso politiche e iniziative volte a rilanciare l’intero settore” è stato infatti il messaggio chiave emerso durante la tavola rotonda No signal? Audiovisivo lombardo, una nuova film commission come motore del rilancio, organizzato dal raggruppamento Cinema e Audiovisivo di Cna Lombardia in collaborazione con le principali associazioni della filiera dell’audiovisivo.
Come sottolineato nel report finale “Nel comparto Cinema e Audiovisivo in Lombardia operano circa 2.000 imprese, che impiegano 20.000 addetti, producendo un fatturato di oltre 6 miliardi di euro Dati che fanno della Lombardia la seconda regione italiana in ordine di importanza in questo settore, subito dopo il Lazio e, dopo il Lazio, il più completo e articolato sistema nel cinema, nella televisione, nella post-produzione, negli altri settori dell’audiovisivo, per arrivare alla qualità della ricerca e della sperimentazione che è capace di esprimere. A livello di consumo di prodotti audiovisivi la nostra è la prima regione d’Italia, e rappresenta, solo per il cinema, intorno al 20% del volume d’affari complessivo a livello nazionale, percentuale che sale considerevolmente se si prendono in considerazione i prodotti di maggiore qualità artistica e culturale“. Numeri importanti, certo ma che pongono più di un dubbio: “Nel biennio 2018/2019 il numero totale delle produzioni in Lombardia è stato di 396, il 90% delle quali però costituito da spot, videoclip, shooting fotografici, corti prodotti da scuole di cinema ovvero prodotti di per sé importanti per la filiera, ma la cui vocazione è diversa e la cui ricaduta economica sul territorio, anche in termini di utilizzo di professionisti e imprese del territorio, è assai esigua rispetto a quel che potrebbe essere. Senza contare il limitato potenziale che questi prodotti hanno nella promozione dell’immagine della nostra Regione, nel creare volano creativo e circolo virtuoso per le imprese“.

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Insomma, la richiesta è quella di attirare in maniera quasi esclusiva ancora una volta grandi capitali stranieri con un utilizzo “turistico” delle eccezionalità regionali. Se da una parte Armando Trivellini, regista e consigliere direttivo di Air3 (Associazione Italiana Registi), durante il suo intervento ha buon gioco nel ricordare che “C’è un potenziale enorme a Milano. C’è tutto: autori, registi, case di produzione, post produzione, distribuzione, cinema. Ora c’è Sky, la Rai, Mediaset, Amazon, Disney, Apple e Fox. Ma si va fuori Milano a girare“, dall’altra prende come sempre esempio di eccellenza la Friuli Film Commission con un ricordo fortemente indicativo della direzione auspicata da tanti politici: “Arrivati in Friuli, la Film Commission ci ha portato in giro per tre giorni mostrandoci una miriade di posti e di aree diverse di quella regione. Ha pagato il nostro albergo e ha offerto una cifra ingente, tipo 140.000 euro per invogliarci a girare lì. Perché l’ha fatto? Perché avrebbe portato una casa di produzione importante a investire soldi sul loro territorio, e perché avrebbe invogliato a rifarlo in futuro. Infatti in Friuli girano tutti, Salvatores, Tornatore… Ci siamo sentiti protetti, seguiti, invogliati ad andare lì. Tutte le altre regioni visitate, facevano a gara per averci“. Il libero mercato delle regioni, insomma, che dovrebbero farsi una concorrenza spietata per accaparrarsi le grandi produzioni che, a loro volta, pagherebbero dazio con qualche sky-cam mozzafiato sulle bellezze naturalistiche del luogo. E se fosse proprio questo invece il meccanismo capitalistico che ha permesso l’infiltrazione nei gangli del sistema di affaristi che, come dimostrato nel caso della Lombardia Film Commission, hanno solo interessi di compiacenza gerarchica?
Silvio Maselli, CEO Fidelio nonché fondatore ed ex direttore Apulia Film Commission, lancia il suo monito: “Una buona film commission non si limita a erogare servizi gratuiti quali location scouting ed elenco troupe alle produzioni audiovisive ospitate sul proprio territorio, ma sarà tanto più influente quanto più riuscirà a erogare risorse ai produttori indipendenti, favorendo la concentrazione sul territorio di competenze e aziende specializzate“.

Come ricordato in questo esaustivo articolo, potrebbe essere utile tornare a guardare al decalogo dei criteri AFCI ( Association of Film Commissioners International) statunitensi, pionieri  nel campo: le Film Commission devono essere pubbliche o a “carattere pubblico”, quindi non necessariamente gestite direttamente dalla Pubblica Amministrazione, ma affidabili ad associazioni no-profit di cittadini; devono comunque espletare i servizi agli utenti in modo gratuito; non devono essere dirette da management espressione di imprese e di interessi privati nel campo audiovisivo o ad esso collegabile; devono comportarsi in modalità “trasparente”, di “pubblica evidenza” ed “equidistanza”. Un modello che sulla carta basterebbe importare e prendere come ispirazione – nonostante le narrazioni della forza politica coinvolta nello scandalo – anche qui da noi.

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