Così è. Le previsioni del tempo di David Lynch

Con le sue previsioni, Lynch riesce ancora a far emergere l’invisibile, rassicurandoci. Perché la finestra di fatto è fuori campo, ed ogni giorno sul suo canale YouTube esplode il Golden Sunshine

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L’11 maggio del 2020, David Lynch appare su YouTube, in un canale denominato il David Lynch Theater. In un video di trentadue secondi il regista siede alla sua scrivania e dal basso osserva il fuori, attraverso una finestra che non vediamo. Descrive il tempo meteorologico. Ogni mattina da quel giorno, pubblica lo stesso video. L’inquadratura è fissa e la scenografia impeccabile: c’è un bizzarro apparecchio telefonico, una tazza nera (alle volte fumante e alle volte no) e una cassettiera di un bel giallo ocra chiaro. Questi tre oggetti apparivano anche nei primi video in cui il regista, oggi settantaquattrenne, faceva le sue previsioni del tempo nel 2006, quando il capello era già grigio ma la pelle meno rugosa. Certo, all’epoca non c’era una pandemia globale. Mentre nel 2020 c’è eccome, e questo guardare fuori del regista verso una finestra alta fa pensare ad un rifugio, magari un rifugio anticiclone, come quello che Dorothy non riesce a raggiungere, finendo così magicamente a Oz. Grande amore di Lynch il film di Fleming, omaggiato apertamente nel suo Cuore Selvaggio, in cui appare La fata buona, angelo custode che tutto sistema, interpretata da Sheryl Lee, la Laura Palmer di Twin Peaks (e da chi altri sennò).

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Ma le previsioni dal rifugio non sono angoscianti, Lynch, come sempre, è serafico. E non è del tutto corretto definirle pre-visioni del tempo, visto che il regista si limita a descrivere ciò che vede fuori dalla finestra, ad enunciare la temperatura e al massimo a parlare di ciò che accadrà nel pomeriggio, ma di fatto sempre ripetendo i bollettini del mattino. Sotto ai video fioccano i commenti. C’è chi dice che questo è il primo film comprensibile del regista, chi devoto scrive che David è l’unica luce in questo oscuro momento. Bisognerà aspettare il 17 maggio per sentire la frase che nei commenti diventa poi un mantra, sulla quale il regista insisterà sempre con più gusto, enfatizzandola con brevi pause prima di pronunciarla, e rare volte accennando preziosi sorrisi d’intesa che ci rivelano che, attenzione, legge i commenti. Ogni mattina, chi guarda le previsioni di David, attende fiducioso quel Golden Sunshine per iniziare bene la giornata, o nel caso di diversi fusi orari, rileggerla e rivalutarla sotto la nuova luce del sole dorato di David Lynch. Così, dopo aggettivi come Foggy o Cloudy, gli spettatori sanno che il regista parlerà di un imminente Beautiful Blue Sky da cui consegue naturalmente la presenza del rassicurante Golden Sunshine. E in chiusura un amabile “Have a great day everyone!”

Che poi David Lynch, enunciando la realtà come qualcosa che semplicemente è, ci rassicura da sempre, soprattutto nel suo cinema. Il regista ha costantemente portato alla luce, in una sorta di dis-velamento ontologico, l’ignoto sottostante al noto, che invano cerchiamo di comprendere e decifrare con la logica. Nel farlo non ha mai preteso di fare chiarezza e, ancora più importante, non pretende neanche che sia lo spettatore a farlo. Ecco perché l’unica risposta alle domande sui suoi film è non dare una risposta. Perché l’immagine enunciata è già la risposta, soprattutto nella sua incomprensibilità. Qui sta la rassicurazione, e la grande libertà che Lynch da sempre concede e che fatichiamo ad assumerci: essere liberi dal peso di dover rispondere alle domande, dal trovare una logica, dal comprendere a tutti i costi. Potersi così abbandonare alle immagini, ad un viaggio in luoghi di cui a malapena sospettavamo l’esistenza. Quegli spazi dimenticati in cui bellezza e atrocità sono la stessa identica cosa. Un flusso, in cui bene e male, meraviglia e orrore non fanno che scorrere fusi. Per questo l’intesa con Angelo Badalamenti e le sue sonorità mortifere e cristalline, era inevitabile. Il suo è un cinema di immagini manifeste che non necessitano del lascia passare della sceneggiatura. Un po’ come lo Zarathustra di Nietzsche, che sacrifica la comprensibilità dello scritto all’immediatezza visiva della profezia. In questo Lynch è a tutti gli effetti un filosofo, che descrivendo l’essenza celata del reale finalmente lo disvela. Con il cinema e anche con le sue previsioni, che nella ripetizione ribadiscono il quotidiano e  fanno emergere un fuori invisibile. Perché la finestra di fatto, è fuori campo.

Il 2 giugno il regista non si presenta, lasciando tutti sgomenti. La camera riprende la scena vuota, e dalla tazza non sale il fumo. Si sente solo il rumore del fuori, il cinguettio degli uccellini. Nei commenti qualcuno si chiede se questa assenza non sia per il Black Out Tuesday, per George Floyd, assassinato il 25 maggio sotto gli occhi del mondo. E in effetti così è, lo scopriamo nelle previsioni del giorno dopo, che il regista fa con un cartello alle spalle in parte coperto, ma da cui leggiamo chiaramente Black Lives Matter Peace Justice No… Solo quando si alza, appare quel No Fear, fisso in camera per più di un minuto, a confortare.
Passano i giorni e sul David Lynch Theater compaiono nuovi contenuti. Ci appassioniamo presto al What is David Working On Today? dove Lynch costruisce oggetti, esibendosi in dei veri e propri tutorial: rattoppa i suoi pantaloni dipingendo la carta con cui ne ha riempito i buchi, cercando di riprodurre col verde e col viola lo stesso colore della stoffa e arrendendosi presto all’impossibilità di riuscirvi. Ma non solo. Costruisce un magico “bastone pesca idee” (checking stick lo chiama lui) e in un video che ha dell’incredibile numera una litografia, pronunciando la sequenza dei numeri uno dopo l’altro, in una sorta di placido ASMR. Ma ridurre tutto a dei tutorial o ASMR, come qualche commentatore di fatto fa, è davvero limitante. È vero che il regista è recettivo ai nuovi linguaggi e di fatto sfrutta il contenitore YouTube, esplorandone con curiosità l’illimitatezza e giovando dell’istantaneità della messa in scena. Ma i video sono molto di più: ancora una volta ci ricolleghiamo alle suo opere filmiche, simili a processi litografici, laddove la litografia si basa su un’incompatibilità, quella fra acqua e olio, che fa sì che il disegno prima invisibile emerga dall’incisione… Perché ogni immagine di David Lynch è una litografia, in cui invisibile e visibile compaiono nel contrasto, nella loro incompatibilità.

Insomma il cinema c’è sempre. C’è anche nella forma più consueta dei cortometraggi che appaiono sul canale, più agghiaccianti che mai, alcuni del passato e altri inediti. Come The story of a small bug, dove un piccolo bruco sta scalando un enorme montagna (un piccolo dosso di terra per noi) ma poi scivola e viene acciuffato da un serpente. Strozzato dalle sue fauci, di cui sentiamo il terribile suono. Succede di tutto lì dove non possiamo vedere, nel sommerso, nel nascosto tanto caro a Lynch. Ce lo ha già mostrato mille volte, per esempio nella scena iniziale di Blue Velvet, con quel brulicare impazzito sotto il prato verde speranza. C’è, è dannoso e inutile nasconderlo, tanto si manifesta comunque, nei sogni per esempio, luoghi tanto cari al regista (ce ne racconta anche uno durante le previsioni del 6 giugno, il D Day). Esistono deliziosi pettirossi sugli alberi ma anche scarafaggi umidi di terra. Ce lo diceva anche Giacomo Leopardi in un passo sulla natura del 1825: “Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di fiorellini” E ancora: “Quell’albero è infestato da un formicaio, quest’altro è ferito nella scorza e cruciato dall’aria”. Più avanti “un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso” mentre “là uno zeffiretto va stracciando un fior”. Spiriti affini anche Lynch e Leopardi, che accanto al riconoscimento della crudeltà dell’esistenza, ne sottolineava sempre e comunque la parallela bellezza, fonte di meraviglia e stupore bambino.

Uno degli ultimi cortometraggi pubblicati si chiama The Adventures of Alan R. Una testolina amorfa giace su una moquette a disegni geometrici, e ci riporta subito a certe suggestioni di Eraserhead, il film con cui tutto ha avuto inizio. La testa ripete di non poter essere andata a pescare… è un contenuto inedito che sembra descrivere ancora la realtà, in questo strano periodo di privazione del movimento, di eccesso del pensiero…
Prima ancora della pandemia, l’essenza stessa della settima arte si stava rivelando una volta per tutte in tutta la sua inafferrabilità. E ora che tutto sembra ancor più impossibile da definire e prevedere, David Lynch appare: ha deciso nel 2006 di non fare più film eppure ha ricominciato nel 2020 a fare cinema, in uno spazio diverso, nel suo Theater su Youtube. Ritornando ogni volta da chissà quale luogo misterioso, con immagini sempre più libere dalla presa della comprensione e dalla prepotenza della definizione. Con le sue previsioni col filtro blu o direttamente dalla Loggia Nera, che compare chiaramente come sfondo  in un  contenuto diverso, un regalo per noi tutti: Do you have a question for David? , dove David Lynch, regista fra i più restii a parlare del proprio cinema, risponde ai quesiti dei commentatori, vestito elegantemente e seduto di fronte ad un bel drappo di velluto rosso.

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