Crane Lantern, di Hilal Baydarov

Litania ipnotica dedicata all uomo che indaga sulla necessità della giustizia in una società sempre più proiettata verso il baratro. Dal 33mo Trieste Film Festival il nuovo film del regista azero

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Al 33° Trieste Film Festival, nella sezione Fuori dagli Sche(r)mi è arrivato l’ultimo film del regista azero Hilal Baydarov. Un film magmatico e ipnotico che sfrutta la legge e le forze dell’ordine per creare un’opera che indaga, letteralmente, sulla necessità della giustizia in una società stanca e oscura che a lenti passi si avvicina sempre più verso il baratro.

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Musa, studente di legge, incontra Davud ex poliziotto incarcerato per il rapimento di quattro donne. Scopre meravigliato che l’uomo non ha ricevuto alcuna denuncia dalle sue vittime. Donne che nel contatto col prigioniero hanno scoperto nuove verità su se stesse. L’incontro tra i due diventa per Musa spunto per domandarsi se tutto ciò che sta studiando sia giusto come l’Holden Ford di Mindhunter. Si domanda se in un mondo del genere ci sia effettivamente bisogno di una giustizia che regoli qualcosa di così tanto illuso. L’uomo, visto come un’entità governatrice e superiore, forse non può essere al centro di un paesaggio così vasto e oscuro che porta allo spaesamento.

Quello compiuto da Musa altro non è che un viaggio nell’interiorità di Davud che qui si fa specchio di un’umanità che soffre. Un viaggio senza meta, perso nei paesaggi dell’Azerbaijan. L’azione che porta avanti la narrazione pertanto sembra la medesima del film presentato in quel di Venezia 77, In Between Dying. Film ben più equilibrato, soprattutto dal punto di vista narrativo che parlava del viaggio di un altra versione di Davud che incontra donne in cerca della liberazione dai soprusi.

Nel precedente film, nonostante fosse pregno di simbologia, allo spettatore non serviva fare una codifica che qui invece sembra forse necessaria per arrivare ad assorbire l’operazione appieno. Le scorribande ripetute verso Baku sul motorino non solo scandivano maggiormente il ritmo, ma ancor di più accrescevano la sospensione del tempo che avvolgeva i protagonisti destinati ad ogni passo a fare i conti con la morte. In Crane Lantern invece la sospensione e la disillusione che si respira è talmente tanto estrema, e sottolineata da una fotografia, forse un po’ troppo laccata che finisce per farci sentire il peso  della costrizione delle inquadrature fisse scelte da Baydarov, le quali col passare del tempo urlano dai margini.

Eppure le ambientazioni sono così affascinanti, così centrate e così liquide e sporche che come una macchia di petrolio nero invadono l’intero movimento dei personaggi. Forse però è proprio questo ciò che voleva Baydarov. Farci sentire l’inutilità, la solitudine, l’impossibilità di inquadrare qualcosa. E ciò si avverte già dalle parole iniziali di Baydarov, che per presentare l’opera agli spettatori di MyMovies dice, nel suo videomessaggio:

“Quando ho iniziato avevo un sacco di idee. Ora non ho nulla di nuovo, non ho nuove parole. Non ho nulla di speciale e il mio film è semplicemente un film”.

Nella storia della gru che ricerca la strada tramite le lanterne, scoprendo poi solo sul finale che si tratta di una trappola dei cacciatori, non solo si intravede tutto il senso del film di Baydarov, ma soprattutto si rivede l’autore stesso che già dalla presentazione lascia intendere come tutto ciò che fa sia la ricerca di una nuova luce, di una speranza in mezzo ai pericoli e le sofferenze del quotidiano che sempre più prendono la forma dei proiettili dei cacciatori.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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