Creed II, di Steven Caple Jr.

Questo secondo capitolo riflette le ansie di una generazione di figli, che deve “riscrivere la Storia” dei padri. Il serrato match finale sembri quasi tingersi di contorni psicoanalitici e privati

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All’inizio Balboa/Stallone sembra un fantasma. Lo vediamo aggirarsi in profondità di campo, come un’ombra, e interagire solo con Adonis per dare gli ultimi consigli prima di salire sul ring. Viene il sospetto – presto fugato – che sia un’immagine mentale di Adonis, l’angelo custode a cui far riferimento per meritarsi il titolo. In realtà Rocky è vivo e vegeto e serve ad Adonis come quest’ultimo serve a lui per ritrovare il coraggio di sentirsi padre. In questo secondo capitolo Adonis diventa subito campione del mondo, ma il punto non è raggiungere la cima, bensì sentire di meritarsela. Qui in realtà risiede gran parte della psicologia e delle contraddizioni di Adonis Creed. Afroamericano di famiglia ricca, perfetto esemplare di una nuova generazione di neri americani integrati nella società, sembra il primo a volte a non credere veramente nelle sue motivazioni. Perché combatte Adonis? Dov’è il suo dolore? Così quando a sfidarlo è Viktor Drago, il figlio di Ivan, colui che in Rocky IV uccise il padre Apollo, arriva l’occasione per misurarsi con un ostacolo vero e mettersi in discussione. In realtà il percorso è lungo e come avviene spesso nella drammaturgia dei Rocky – Stallone in questo caso scrive e produce – il primo incontro si rivela una dura lezione per il protagonista. Servirà la rivincita in terra di Russia e Adonis dovrà guarire le proprie ferite e controllare il proprio ego, ascoltare l’umiltà di zio Rocky, che per prepararlo all’incontro finale lo porterà ad allenarsi nel deserto.

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Creed II racconta in prima battuta di una rigenerazione, di una educazione alla sofferenza che trova nel corpo di Michael B. Jordan possibili rispecchiamenti con il formidabile Killmonger da lui interpretato in Black Panther. Continua soprattutto a essere un’operazione inevitabilmente legata a dinamiche generazionali questo spinoff su Creed. Se il primo film di Coogler raccontava soprattutto l’inseguimento della figura paterna da parte dei figli, in questo secondo capitolo il tema diventa il superamento di questa eredità. Anzi l’assunzione stessa del ruolo paterno, dal momento che Adonis qui di fatto diventa padre. Così non deve sorprendere che il serrato match finale sembri quasi tingersi di contorni psicoanalitici, con la vittoria che diventa una questione privata anziché sportiva. Adonis e Viktor sono molto simili. Entrambi chiamati di fatto non più a eguagliare i fantasmi paterni, ma a riscattarli. I due figli devono “riscrivere la Storia”. E qui la parte più intensa viene giocata proprio dalla famiglia Drago, padre e figlio abbandonati da Ludmilla e dalla Russia, cercano la vendetta per riconquistare il cuore e l’attenzione della donna-madre(Patria). Il fulcro emotivo del film alla fine è il loro e la spugna gettata da Ivan per andare ad abbracciare da vero padre il figlio Viktor rappresenta il miglior epilogo possibile e lascia persino il desiderio di vedere, in un futuro prossimo, un intero film dedicato a loro.

Titolo originale: id.
Regia: Steven Caple Jr.
Interpreti: Sylvester Stallone, Michael B. Jordan, Tessa Thompson, Dolph Lundgren, Wood Harris, Phylicia Rashad, Florian Munteanu, Russell Hornsby
Distribuzione: Warner
Durata: 130′
Origine: USA, 2018

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