Criature, di Cécile Allegra
Un racconto della Napoli popolare forse troppo irrisolto, insicuro sul passo da tenere, sballottato tra la pudicizia ed il bisogno di rivoluzione. Così, a risaltare è la struttura da polveroso melò

La prima scena di Criature è un’alba sulla spiaggia: c’è il chiaroscuro che anticipa l’uscita del sole, c’è persino un cavallo tenuto al trotto da due persone di fronte al mare. Sembrano i colori, gli spazi, di Indivisibili di Edoardo De Angelis. Tutte le tensioni sembrano porsi in questo prologo che pare voler mostrare il tentativo di raccontare Napoli, la sua gente, la sua storia, da un punto di vista non solo diverso da quello canonico ma anche profondamente connotato, personale.
Criature parte da belle premesse soprattutto perché si tratta della prima incursione nella finzione della documentarista Cécile Allegra, che però pare trovare il coraggio di prendere quel Reale, centrale nel suo cinema e disperderlo in un immaginario altro, che vuole provare a costruire da zero. Della formazione della sua regista il film conserva dunque soprattutto lo sguardo a livello strada, che non esce mai dal reticolo della Napoli popolare, certi exploit recitativi, che sembrano conservare felicemente alcune sporcature che altro cinema avrebbe eliminato e soprattutto il soggetto.
Criature è infatti ispirato alla storia vera di Giovanni Savino, ex insegnante che da tempo fa l’educatore volontario nel quartiere popolare di Barra, impegnato ogni giorno a combattere una guerra silenziosa per togliere il maggior numero possibile di ragazzini dalle strade e dalle piazza di spaccio e portarli, se non direttamente in classe, nel suo doposcuola, nel tentativo di far conquistare loro quella licenza media che sembra essere uno dei pochi lasciapassare per allontanarsi dal degrado che li circonda.
E Cécile Allegra non molla per un attimo il suo Mimmo (interpretato da Marco D’Amore), impegnato non solo a far studiare i suoi alunni ma anche a mostrargli un’alternativa resistente e luminosa al loro quotidiano attraverso l’arte di strada in cui li coinvolge.
Il film si muove però per estremi teso tra il respiro da racconto di formazione all’Americana e la visionarietà delle sequenze circensi. Ma manca al film di Cécile Allegra una mano ferma che riempia i vuoti del racconto.
Criature è indubbiamente affettuoso nei confronti di ciò che racconta, ma forse soffre dell’inesperienza della sua regista nel cinema di finzione. A tratti pare annusare l’aria, affiancare contesti conosciuti, inseguire lo spirito di Lina Wermüller di un Io speriamo che me la cavo in salsa Gen Z (e retto da un Marco D’Amore raramente fuori fuoco) e tenere sempre a vista la classica estetica tra Gomorra e Mare Fuori di cui vorrebbe essere alternativa.
Perché in effetti, malgrado certi affascinanti spunti di partenza, la rivoluzione di Criature è tutta su carta. Perché il film non riesce mai ad abbandonarsi davvero alla sua storia, a costruire il suo racconto per immagini, a far esplodere davvero quei conflitti latenti che lo puntellano. Forse se ne accorge anche Cécile Allegra, che cerca il cinema puro nelle linee narrative parallele che si affastellano l’una sull’altra (forse troppe e spesso troppo poco approfondite) ma ne sfiora i presupposti solo in qualche dialogo in cui la tensione pare volersi sfogare, in certe sequenze che quasi ripensano Napoli in chiave post industriale. Per il resto Criature rimane sulla superficie delle cose, affettuosa e rassicurante.
Regia: Cécile Allegra
Interpreti: Marco D’Amore, Marianna Fontana, Maria Esposito, Alessio Gallo, Giuseppe Pirozzi, Antonio Guerra, Ciro Minopoli, Martina Abbate, Catello Buonocore, Vittorio Edet, Gennaro Filippone
Distribuzione: Medusa Film
Durata: 101′
Origine: Italia, 2024