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Cross-Border Film Festival 2025 – Tre corti di Tara Najd Ahmadi

Le opere della cineasta iraniana sono in programma alla 26° edizione della manifestazione (7/12 ottobre), nella sezione Visioni Private, dove è previsto anche un dialogo con tre registe palestinesi

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Il rapporto tra immagine e memoria personale rappresenta sicuramente una delle tematiche centrali che hanno caratterizzato le narrazioni audiovisive dell’ultimo quarto di secolo. Molto spesso, nelle opere prime di giovani cineasti presentate ai festival, tale argomento diventa l’occasione per sperimentare con i vari formati e linguaggi del cinema contemporaneo, instaurando interessanti riflessioni sul passato politico e sociale dei paesi d’origine dei suddetti autori.
È ciò che Tara Najd Ahmadi – regista iraniana in esilio – ha cercato di fare con i suoi tre cortometraggi presentati nella sezione Visioni Private del 26° Cross-Border Film Festival di Gorizia e Nova Gorica (in programma dal 7 al 12 ottobre), che trattano tutti le conseguenze della politica del regime iraniano sui singoli individui, attraverso una commistione di registri visivi che spaziano dalla pellicola in 16mm all’animazione in stop motion, includendo anche l’uso del materiale d’archivio.

La presentazione delle opere della cineasta al festival coinciderà anche con un dialogo a distanza tra lei e altre tre registe palestinesi (nello specifico: Maha Haj, Razan Al-Salah e Mary Jirmanus Saba), che porteranno anch’esse i loro rispettivi film basati su storie provenienti dal loro paese, oggi vittima di una delle più sanguinose occupazioni militari della Storia recente.
Il primo corto, Productive Frustration (2016), si concentra sulle difficoltà incontrate da un’artista nel corso del suo processo creativo. Tramite un approccio sperimentale che coniuga il voice over della regista con fotografie e filmati provenienti dal suo archivio personale, il film segue il viaggio interiore della protagonista alla ricerca dell’ispirazione, attraversando anche i ricordi di famiglia. Accompagnato da un frequente ricorso al materiale d’archivio, il corto propone una riflessione sul ruolo dell’artista oggi, in particolare sulla sua capacità di sostenere determinate posizioni politiche.

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Tara Ahmadi

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L’opera seconda, A Week With Azar (2018), affronta in modo ancor più diretto le difficoltà di natura politico-burocratica vissute dai cittadini iraniani, analizzando nello specifico la storia di Azar, ingegnere informatica residente negli Stati Uniti, che nell’inverno del 2017 non riuscì a incontrare sua sorella in Iran prima della sua morte a causa del travel ban imposto dall’amministrazione Trump ai paesi a maggioranza musulmana. Anche qui, il lavoro svolto sulle immagini riprende quello dell’esordio della cineasta, mescolando materiale video e pellicola 16mm, e utilizzando il commento in voice over per riflettere sulla condizione di una donna impossibilitata a raggiungere i propri familiari nel suo paese natale, a causa di politiche estere restrittive.

Surfacing Images (2023), terzo e finora ultimo cortometraggio della regista, racconta il resoconto di un suo viaggio a Belgrado, dove ha visitato la casa del regista avanguardista serbo Dušan Makavejev e della moglie Bojana Marijan, potendo accedere a una serie di pellicole dei loro film in procinto di restauro. Instaurando una riflessione sul destino delle immagini nella società contemporanea, la cineasta tesse un sottile filo che collega le immagini dei film visionati in Serbia con quelle provenienti dai video girati nelle piazze e nelle strade di Teheran dai manifestanti contro il regime degli ayatollah, anch’essi a loro modo un “film” sulla rivoluzione (grande attenzione viene riservata al versante femminista delle proteste). Come suggerisce il titolo, le immagini sono destinate a “risalire in superficie” per la loro impellente necessità politica e sociale, a prescindere dai provvedimenti di censura messi in atto dal potere.

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