Da Mayerling a Sarajevo, di Max Ophüls

Ophüls affronta la materia con una leggerezza calviniana, non escludendo cioè le conseguenze che ne derivano quanto adottando uno sguardo altro sulle cose. Da oggi in sala con Lab 80

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Da Mayerling a Sarajevo: due eventi storici uniti da un destino comune, tragico e insieme romantico. Da una parte la relazione osteggiata tra l’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena e la sua amante, la baronessina Vetsera, che li condusse nel 1889 al suicidio; dall’altra l’assassinio dell’arciduca Ferdinando e di sua moglie Sofia avvenuto nel 1914, fatto che come è noto fu la causa scatenante la prima guerra mondiale. Ophüls però non ne fa un raccordo di carattere puramente storico e oggettivo – Rodolfo era cugino di Francesco Ferdinando, che in seguito alla sua morte divenne erede al trono austro-ungarico; egli appare più interessato a rimarcarne la natura sentimentale e come essa sia andata inevitabilmente a scontrarsi con questioni politiche. La scelta di un episodio così specifico e indietro nel tempo non è priva di un contatto urgente con il presente: il regista, tedesco ma di origini ebraiche, nel ’33 è infatti costretto a emigrare in Francia per via della morsa soffocante della dittatura nazista; qui nel ’39 inizia le riprese del film, che vengono interrotte per lo scoppio della guerra e completate un anno più tardi (il film, comunque, vietato in Germania, verrà presentato ufficialmente solo nel ’45).

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La Storia sembra costretta a ripetersi e la natura umana, con il suo desiderio di conquista e egemonia, a non cambiare. Eppure, nel film non si avverte mai questo senso di tragica impotenza, questo piegarsi forzatamente a un destino già macchiato dal sangue di

da mayerling a sarajevo_feuillère molte persone (anche la morte dei coniugi sfuggirà alla macchina da presa). Al contrario, Ophüls come in altre sue opere affronta la materia – in questo caso l’assurdità della guerra – con una leggerezza calviniana, non escludendo cioè le conseguenze che ne derivano quanto adottando uno sguardo altro sulle cose. Sguardo che viene a coincidere con la prospettiva dei due protagonisti (John Lodge e Edwige Feuillère, già apparsa in Tutto finisce all’alba), che si battono per un ideale di democrazia e unione pacifica tra popoli (“gli Stati Uniti d’Austria”). La rigidità politica e istituzionale, che li costringe a un matrimonio morganatico (perdendo innumerevoli diritti, tra cui la discendenza degli eredi al trono), fluiscono attraverso la vita privata e familiare della coppia, che viene messa in primo piano mostrando momenti idilliaci con i figli e attimi di tensione per la propria sorte e quella dell’Impero. Ophüls, in maniera evidente, esalta la figura femminile riversando su di lei tutte le attenzioni: il quadro che ne risulta è di una donna fiera e amorevole, un’eroina che con garbo e determinazione resterà accanto al marito fino all’ultimo giorno. Feuillère, in linea con il personaggio, non esaspera mai il tono della recitazione che anzi si mantiene sobrio e non per questo di minore coinvolgimento per lo spettatore. Lo stesso Ophüls, pur non rinunciando al suo stile elegante, non si abbandona a vorticose girandole espressive: i movimenti di macchina, che qui da mayarling a sarajevo_ophuls_2sono misurati e calibrati sul discorso narrativo (benché non manchino alcune “visioni in soggettiva” dietro una cancellata o un manipolo di soldati) vengono sublimati da una fotografia impeccabile – merito di Curt Courant e Otto Heller – che rivela luci e ombre del potere (mirabili in tal senso le sequenze con Montenuovo, il maestro di cerimonie della famiglia imperiale).

Certo, a causa probabilmente dei continui rischi e dei tempi di lavorazione altalenanti, la narrazione risente di un respiro corto, compensato in parte dall’uso abbondante di espedienti classici (lettere, calendari, didascalie) che non le danno la giusta profondità; anche la visione così liberale dell’arciduca Ferdinando viene piuttosto semplificata a favore dell’immediatezza del racconto. D’altro canto Ophüls, come altri registi coevi (Lubitsch, Hitchcock) offrì con questo film un contributo importante alla propaganda antinazista, in un periodo in cui era oltremodo necessario che il messaggio apparisse chiaro e diretto, per evitare effetti spiacevolmente contrari (come accadde ad esempio a Prigionieri dell’oceano).


Titolo originale:
 De Mayerling à Sarajevo

Regia: Max Ophüls

Interpreti: Edwige Feuillère, John Lodge, Aimé Clariond, Jean Worms, Jean Debucourt, Raymond Aimos

Distribuzione: Lab 80

Durata: 91′

Origine: Francia, 1940

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