"Da quando Otar è partito" di Julie Bertuccelli

Vincitore della "Semaine de la Critique" all'ultimo festival di Cannes, il film fluisce nella sua febbrile libertà, più potente nella parte ambientata in Georgia piuttosto che negli spostamenti disordinati delle tre donne a Parigi. L'opea prima della Bertuccelli è comunque sentita e sincera, già capace di attrarre istintivamente

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Tre sguardi generazionali femminili sull'assenza. Tra Tbilisi e Parigi in Da quando Otar  è partito c'è una destabilizzazione del set, tutto sottomesso alla ricerca di una figura inesistente. La partenza/morte di Otar diventa nel film di Julie Bertuccelli movimento dominante, corpo fantasma che si materializza agli occhi della madre Eka e si dissolve davanti a quelli della sorella Marina e della nipote Ada. Queste ultime due infatti hanno appreso la notizia della morte dell'uomo e cercano di nasconderlo all'anziana donna. Continuano a far vivere così Otar agli occhi della donna inventando delle lettere  Vincitore della "Semaine de la Critique" all'ultimo festival di Cannes, Julie Bertuccelli, al suo primo lungometraggio mentre in precedenza si era formata realizzando prevalentemente documentari, disegna un ritratto di tre donne quasi in parallelo, tra complicità e distanza, diviso tra disperazione e attesa. Da una parte, Marina e Ada che sono a conoscenza della morte di Otar, dall'altra Eka che la ignora del tutto. La parola (quella scritta nelle lettere che l'anziana protagonista riceve, ma anche quella negata e/o manipolata dalla figlia e dalla nipote) diventa così il segno di una messinscena continuamente riformulata, in un continuo spostamento tra tragico e grottesco con quegli spostamenti verso quelle forme dell'assurdo in cui la Bertuccelli sembra guardare al cinema di Otar Ioseliani, del quale in passato è stata assistente. Così il film fluisce nella sua febbrile libertà, più potente nella parte ambientata in Georgia piuttosto che negli spostamenti disordinati delle tre donne a Parigi in cui quell'improvvisazione-Nouvelle Vague appasre invece un po' più calcolata. Resta comunque il finale, con qulla coinvolgente scena della separazione all'aereoporto quando Ada decide di restare nella metropoli transalpina. C'è uno sguardo appassionato nella Bertuccelli in percorso affettivo irregolare e pulsante, pieno di frasi non dette, di illusioni prolungate, di convivenze e fughe. Nei colori neutri, quasi freddi della fotografia di Christophe Pollocj, la regista riesce a dar calore alle proprie immagini, a rendere le tre protagoniste vive, appassionate e sincere. Lo sguardo della Russia verso Occidente inoltre  è sempre sommesso e mai urlato come nell'isterico cinema di Pavel Longuine e quindi in cui la dimensione politica è sempre sottomessa a quella privata. Un esordio nel lungometraggio sentito e sincero quella di Julie Bertuccelli, un cinema che al momento già attrae più di istinto che di cervello.

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Titolo originale: Depuis qu'Otar est parti


Regia : Julie Bertuccelli


Sceneggiatura : Julie Bertuccelli, Bernard Renucci. In collaborazione con Roger Bohbot


Fotografia: Christophe Pollock


Montaggio: Emmanuelle Castro


Musiche: Antoine Duhamel, Dato Evgenidze, Arvo Part


Scenografia: Emmanuelle de Chauvigny


Costumi: Nathalie Raoul


Interpreti: Esther Gorintin (Eka), Nino Khomassouridze (Marina), Dinara Droukarova (Ada), Temur Kalandadze (Tenguiz), Rusudan Bolkvadze (Rusiko), Sacha Sarichvili (Alexi), Duta Skhirtladze (Niko), Abdallah Moundy


Produzione: Les Films du Poisson


Distribuzione : Esse&Bi Cinematografica


Durata: 102'


Origine: Belgio/Francia, 2003


 

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